Sesso, nazismo e minacce: è bufera su Facebook

Due inchieste. Da Napoli a Monaco. Dal caso di Tiziana a quello dei negazionisti.

I limiti della censura con la mannaia. E le segnalazioni degli utenti ignorate dai gestori.

di elleti

Lo sapete tutti: su Facebook girano – tra miliardi di innocui post e pagine personali -, anche contenuti offensivi, illegali, minacciosi. Normale: se un miliardo e mezzo di persone si serve del social aspettarsi che questo non accada è una illusione che viaggia nel mondo dei sogni. Che non è il web.

C'è però una casuale coincidenza che apre squarci importanti sulla gestione di alcuni contenuti e sulla presunta libertà di espressione sul social. Facebook ha ricevuto “avvisi” da due autorità giudiziarie diverse, i magistrati napoletani e quelli di Monaco di Baviera.

Due questioni diverse, ma simili. Da Napoli il caso di Tiziana Cantone. Archiviazione per i quattro sospettati di aver diffuso i video scabrosi della ragazza. Ma indagine aperta nei confronti del popolare social. Motivo: non aver rimosso – anche dietro le continue insistenze – le decine di pagine create per denigrare, offendere e umiliare la 31enne partenopea.

In Germania l'inchiesta è scattata per delle pagine che inneggiano alla violenza e negano l'Olocausto (tema inevitabilmente caldissimo da quelle parti).

Ora, è chiaro che il social non può monitorare tutto quello che viene postato. Ma dopo le segnalazioni e le proteste ha comunque il dovere di intervenire, valutare e – nel caso – rimuovere i post incriminati (magari anche bannando l'autore).

Se non lo fa, è difficile difendersi sostenendo che Facebook non è responsabile di quello che si pubblica. Dopo che c'è stata la segnalazione, la scelta di lasciare in rete certi contenuti passa inevitabilmente in capo ai gestori della piattaforma.

Oltretutto la censura su Facebook esiste. Ma è arbitraria. E così, mentre si lasciano tranquillamente sul web dei post di indicibile violenza o volgarità, altri – assolutamente innocui - vengono rimossi immediatamente. E' il caso del famoso quadro “L'origine del mondo”, di Gustave Courbet , la celeberrima foto di Nick Up, che riprende una bimba vietnamita in fuga dal Napalm, o le numerose e inoffensive immagini di donne che allattano i loro figli.

Beh, in quei casi la mannaia scatta feroce. Via dal web. In altri casi, resta tutto lì. A perenne memoria.

Quindi mettete da parte la “libertà d'espressione”, che comunque viene limitata da un algoritmo che inevitabilmente utilizza l'accetta. E quindi, se c'è un nudo (L'origine del mondo), si taglia. Se c'è una bimba nuda (la fuga dal Napalm), si taglia. Se si fa a pezzi Tiziana Cantone o si minaccia, si offende, si denigra, si insulta, allora non si tocca.

Ma che si tuteli la dignità delle persone, il ricordo delle vittime di uno sterminio e non si dia ospitalità a post offensivi e minacciosi (le migliaia di casi di cyberbullismo), ci sembra il minimo.

Non è un'impresa facile. Lo sappiamo. Ma Facebook dovrebbe comunque attrezzarsi – e può farlo – per verificare con maggiore celerità almeno le segnalazioni degli utenti. E nel caso porre rimedio.

Il social network è uno strumento straordinario di comunicazione e informazione. E proprio per questo rischia di anche di veicolare il peggio del peggio. C'è tutto il mondo dentro. In parte è il suo fascino. Ma anche la sua debolezza.

Trovare il sistema di arginare i contenuti oggettivamente offensivi senza però limitare nello stesso tempo anche la sacrosanta libertà di pensiero e d'espressione, sarà una delle sfide inevitabili per Facebook. Anche perché, con quasi mezzo pianeta collegato, non si può semplicemente scrollare le spalle, chiamare una schiera di avvocati e continuare a dire: non rispondiamo di quello che si pubblica. Perché se è pur vero che il social network non deve rispondere alle stringenti normative che regolano gli organi di informazione, è anche altrettanto vero che su quella piattaforma non può girare impunemente di tutto di più.

Soprattutto quei contenuti che mettono alla gogna – con conseguenze spesso tragiche – persone comuni. E il caso di Tiziana Cantone, suicida dopo un anno di insulti sul web, è lì a ricordarcelo.