Terrorista ucciso, che pena quel selfie dei poliziotti

Nessuno versa lacrime per il 24enne ucciso a Milano. Ma la festa degli agenti è fuori luogo.

Quella gioia radiosa per un ragazzo morto poteva essere evitata. Ricorda un po' quei terroristi contenti di sgozzare occidentali. Ma noi non siamo come loro. E poi: perché diffondere i nomi degli agenti, non è un rischio?

di elleti

Quello che sto per scrivere non è molto popolare. Ma non mi interessa. Per fortuna non ho l'obbligo di essere popolare. E neppure il dovere di assecondare certi istinti.

La questione riguarda il terrorista ucciso nel milanese. L'autore della strage di Berlino. Lo dico subito: un fanatico assassino. Un violento. Uno che ha fatto di tutto per meritare quella fine. E sul quale è difficile versare una lacrima.

Ma due cose sono sconcertanti.

La prima: aver diffuso immediatamente e senza pensarci le generalità dei due poliziotti coinvolti nella sparatoria. Così, come niente fosse. Come se avessero salvato una bimba finita in un burrone. E non ucciso un esponente di una delle centrali del terrore più pericolose della storia recente.

Questa “pubblicità” non può mettere a rischio quegli agenti?

E poi: quel selfie scattato in ospedale con il poliziotto ferito, circondato da colleghi. Una foto con un sorriso largo così. Come fosse una festa di compleanno. Beh, diciamolo: forse si poteva evitare.

Quell'Amir Amsi, sarà stato pure il più fetente dei fetenti. Uno che ci avrebbe volentieri sgozzato tutti. Uno così pericoloso e violento che sta meglio dov'è ora. Ma era pur sempre un ragazzo di 24 anni. Un essere umano.

Rallegrarsi e rendere manifesta tutta quella gioia per la sua morte violenta, stona con tutti i valori della nostra cultura. Ci rende più simili ai terroristi che si fanno riprendere mentre sgozzano infedeli.

Ci trasforma come loro.

E questa è una sconfitta. Per noi.

Di fronte alla morte, anche la morte del più irriducibile e spietato dei nemici, è difficile fare festa. Quel 24enne non era né Osama Bin Laden nè il Califfo. Ma un giovane esaltato e violento che ha risposto al richiamo del Daesh. Con la sua morte non è stato sconfitto lo Stato Islamico. La sua morte era nel conto. Prevista. Forse desiderata. Uno in meno, certo. Ma uno dei tanti di una guerra che continua.

Potremmo definirci sollevati ora che non circola più pericoloso e armato per tutta l'Europa. Ma non c'è nulla da festeggiare.

Se proprio si vuole fare festa è quasi arrivato il Natale. La morte violenta di un uomo, qualsiasi uomo, anche il peggiore, non può trasformarsi in motivo di gioia.

Noi non siamo come loro.