Volevo diventare come Belen, sono diventata uno scheletro

Caterina e la sua lotta contro l'anoressia. Mi sentivo enorme. Non era così.

Ho perso tutto. Poi quella scena al parco. E la svolta: così ho ripreso in mano la mia vita.

Avellino.  

«Mi rendevo conto che c’era qualcosa di sbagliato in me, ma avevo paura di affrontare tutto». Caterina inizia così il racconto della sua storia. Del suo incubo.

Parole forti. Venticinque anni, napoletana di origini milanesi. La sua voce è bassa e flebile, gli occhi rossi e stanchi. Sono testimonianza di sofferenza e dolore. Un dolore che l’ha accompagnata per un anno e mezzo.

Era il 2010. Tutto iniziò con una dieta dal nutrizionista per perdere un paio di chili di troppo. Con quella pancetta e quei fianchetti evidenti non era perfetta, credeva.

«Se mi guardavo allo specchio, mi sentivo enorme». Afferma. «Piangevo ore intere perché desideravo un fisico da modella». Un fisico da far invidia alle sue amiche. Perché era questo che voleva: dimostrare di poter diventare bella. Il suo idolo è stata Belen Rodriguez.

«Compravo ogni settimana un suo calendario e osservavo le lunghe gambe - dice Caterina -. In una seconda vita sceglierei di essere lei». I suoi occhi si illuminano. E con sincerità, ammette di non accettarsi per niente.

Iniziò così a pesare ogni suo pasto. Sopravviveva con trecento calorie al giorno e praticava ossessivamente esercizio fisico. La sera neanche le scale riusciva a salire. Non c’erano più le forze.

La mamma e il papà piangevano per lei. Vedevano perdere la loro piccola, incapaci di aiutarla. «I miei cercarono di mandarmi da uno psicologo - spiega Caterina -, ma mi imposi di non andarci». Le decisioni per la sua vita le prende lei.

Quaranta chili per un metro e settanta. Adesso sì che si sentiva bella. Niente più carne, si toccavano solo le ossa. Ma è proprio a questo punto che la sua vita inizia a complicarsi: il fidanzato, conosciuto da bambina, la molla.

«Mi disse che si vergognava di me e che i suoi amici mi prendevano in giro - dice con tristezza -. Fu allora che compresi quanto facessi pietà alle persone. Il ragazzo diceva di non amarla più e che meritava di meglio di uno stuzzicadenti come lei.

Arrivò così anche la depressione. Restava tutto il giorno in casa e non voleva parlare con nessuno. Capì che nessuno la accettava neanche da magra. Aspettava solo la sua ora.

Neanche la scuola la soddisfaceva come prima. Frequentava l’ultimo anno del Liceo Scientifico e i professori erano contenti di lei. Ma con la malattia, le cose cambiarono. Se prima otteneva ottimi risultati, adesso non riusciva a concentrarsi. Non aveva le forze necessarie.

Le sue amiche più strette l’abbandonarono. Scopriva dai post su Facebook che erano andate a ballare. Nessun invito per lo “scheletro”. Così la deridevano.

Poi accadde tutto all'improvviso. «Un giorno andai al parco e mentre leggevo, osservai giocare un bambino con la propria madre sull’altalena - afferma con dolcezza - fu in quell’istante che capii che volevo un futuro».

Dopo quattro anni di cure, ha avuto la sua vittoria. Ha sconfitto la malattia. Ma la sua vittoria più grande si chiama Gianluca, suo figlio. Ha quasi due anni ed è la sua gioia. Il suo destino era lui, non era morire.

«Trovate qualcosa per cui valga la pena vivere, solo così uscirete come me dall’inferno!».

Alessia Dello Iacono*

(Studentessa del corso di giornalismo il "Vivaio di Ottopagine", organizzato nell'ambito dell'iniziativa scuola/lavoro)