Immigrati con gli smartphone. Vi spiego perché

Letizia Monaco, della Comunità accogliente, smentisce tanti luoghi comuni.

E annuncia la manifestazione di martedì nella Villa Comunale di Avellino. E aggiunge: la questione dell'accattonaggio? Per tanti ragazzi è una umiliazione vedere i connazionali chiedere l'elemosina...

Avellino.  

 

 

di Luciano Trapanese

«Tutti a parlare dei telefonini dei migranti, del “lusso” che si concedono alle nostre spalle. Ma la volete sapere la storia di questi telefonini? Di come riescono ad acquistarli?»

Letizia Monaco, presidente della “Comunità accogliente” di Mercogliano, impegnata con il Centro Donna Avellino “Ni una menos” e l'associazione “Diritti del cittadino”, nell'organizzazione della manifestazione di martedì (alle 16, Villa Comunale di Avellino), a favore dell'accoglienza e della pace, non si trattiene più. E sulla questione “telefonino”, che agita il sonno di quanti sono contro i migranti a prescindere, spiega: «Li comprano grazie ai pocket money. O mettono i soldi da parte. O vengono trattenuti – due euro e cinquanta al giorno – dagli operatori dei centri. E non si tratta certo di un lusso. Solo grazie ai cellulari riescono ad avere un contatto con i loro familiari».

La questione migranti non può certo ridursi a un cellulare. E' complessa, di non semplice gestione e viene avvelenata ogni giorno da messaggi carichi di veleno. E false notizie.

«Certo – spiega Letizia Monaco -, i media danno voce solo a quelli che vedono nei migranti il male assoluto, che propongono soluzioni radicali e inapplicabili. Gli altri, quelli che sull'argomento potrebbero avere posizioni meno estreme e ragionevoli, stanno zitti. Questione di consensi elettorali, evidentemente».

Anche per questo le associazioni “accoglienti” di Avellino e dintorni hanno organizzato l'incontro di martedì in Villa?

«Sì, si ignorano tante cose. L'accoglienza così com'è fatta è un fallimento. I ragazzi vengono affidati a centri dove molti operatori non hanno nessuna competenza. E dove passano il tempo a non far nulla. Chiaro che a loro non resta che bighellonare per la città. Un modo come un altro per trascorrere il tempo».

Cosa fa la vostra associazione?

«Voglio premettere che il nostro contributo è gratuito. Siamo sedici, diciotto persone. Dedichiamo due ore al giorno all'associazione. Seguiamo una cinquantina di ragazzi. In particolare con corsi di italiano, informazione legale. Tra i migranti ci sono anche degli artisti, loro partecipano a laboratori di pittura e ceramica. Con garanzia giovani li iscriviamo a corsi di formazione».

I risultati sono positivi?

«Certo, prima di tutto imparano l'italiano. Ma soprattutto i ragazzi sono impegnati. Evitiamo che vaghino senza far nulla».

Nei centri di accoglienza tutto questo non accade?

«Sono in genere previsti dei corsi di italiano. Ma in realtà fanno ben poco. Per non dire niente. Lo sa come li chiamano i migranti quei centri? Campi. Come i campi di concentramento. Non subiscono violenze, certo. Ma restano lì ammassati, in attesa che una commissione decida il loro futuro».

E dopo che la commissione ha deciso che non hanno diritto all'accoglienza?

«La parola passa al tribunale. Se i giudici confermano il no, il migrante viene cacciato dal centro. E da lì in poi non si sa cosa accade. Soprattutto se non ha imparato l'italiano e non ha avviato nessun percorso di integrazione. Diventano disperati allo sbaraglio. E a volte finiscono nelle grinfie della malavita organizzata».

Non ci sono solo i centri di accoglienza, ma anche gli Sprar...

«E quelli sono i riferimenti migliori per organizzare una rete di accoglienza e integrazione veramente valida. Se ne dovrebbero aprire di più, soprattutto nei piccoli comuni».

Negli Sprar gestiti dalla Caritas vengono anche attivate misure (tra le altre il Sia), che migliorano il welfare. Sono cioè capaci di aiutare anche gli italiani...

«Vero, molti sindaci dovrebbero capire bene di cosa si tratta».

La vostra associazione è entrata in polemica con la Caritas di Avellino...

«Sì, per una vicenda che riguarda due ragazze somale. Ma quella storia la riteniamo superata. Con la Caritas ci sono sempre stati ottimi rapporti. Abbiamo fatto rete e rappresenta una presenza preziosa sul territorio».

Avellino è una città accogliente?

«Sicuramente più di altre. Ma da qualche giorno abbiamo visto manifesti raccapriccianti. Una associazione ecologista è arrivata a scrivere: basta profughi, deturpano l'ambiente. Se si continua a incitare alla violenza, al razzismo e alla xenofobia, non si va da nessuna parte».

C'è poi la questione dell'accattonaggio. Molti provano fastidio per la presenza costante di migranti agli angoli delle strade...

«Ed è comprensibile. I nostri ragazzi sono contrari. I musulmani non chiedono l'elemosina, perché la loro religione lo vieta. Si lamentano anche gli immigrati che vivono da più tempo in città. Chi chiede la carità mette in discussione la dignità di tutti loro. Ma è difficile impedirlo».

Qualche tempo fa si è parlato di una organizzazione che gestisce il “mercato dell'accattonaggio”...

«Sì, certo, ne ho sentito parlare. Sarebbe opportuno fare delle indagini. Ma non spetta a me».

A Valle i “vostri” ragazzi hanno ripulito i giardini...

«E' stata una bella esperienza. Mi hanno chiamato anche oggi. Volevano tornare, sentirsi utili. Gli anziani che li vedevano lavorare poi hanno detto: ma sono tutti bravi ragazzi. L'integrazione a volte inizia dalle piccole cose».

C'è un altro mito da sfatare. Tanti dicono dei migranti, ma quelli vestono anche alla moda?

«Sì, si sente spesso. Mah, indossano i vestiti che gli italiani non mettono più e regalano alle associazioni e ai centri...»

Cosa spera di smuovere con l'iniziativa di martedì?

«Vorremmo far capire che l'accoglienza così com'è non funziona. Ma che una vera integrazione consentirebbe di vivere in un mondo migliore e più aperto. Questa gente fugge dalla guerra e dalla fame. Non possiamo ignorarlo. Non possiamo continuare a contrapporci: o noi o loro. Perché non è questa la prospettiva giusta».

Il punto potrebbe essere: con loro, ma come?

E gli Sprar sono una prima importante risposta.