«Ma quale Unità d'Italia, riprendiamoci il Sud»

Gennaro Riola e il suo gruppo di briganti combattono in difesa del Sud: «La scuola è antisuddista»

Avellino.  

«La nostra attività di ricerca si occupa di tutta la storia del Sud, dall’era pre-romana, osca, sannitica, hirpina, fino a quella longobarda, normanna, angioina e aragonese. Riteniamo la scuola italiana sfavorevole al Sud perché i suoi insegnamenti continuano a basarsi su imprecisioni di carattere storico, che non prendono in considerazione i primati politici ed economici plurisecolari del Sud, favorendo la diffusione di ignoranti luoghi comuni sulle inettitudini ed arretratezze dei “meridionali”, generalizzando in modo spudorato e fasullo. La nostra associazione si occupa, inoltre, della salvaguardia e della promozione dei prodotti agricoli ed enogastronomici irpini e del Sud Italia, proponendo petizioni popolari di carattere sociale, pubblicando un giornalino d’ informazione e con l’organizzazione di banchetti briganteschi». A parlare è Gennaro Riola, convinto meridionalista e difensore della storia irpina. Gennaro e i soci del Centro Studi Ruggero II si occupano di difendere e far rivivere la storia dei briganti, dei quali si ritengono fieri eredi.

«Il Centro Studi Ruggero II – spiega Gennaro - nasce come associazione culturale nel 2011, dalla fusione dei soci provenienti dall’ associazione e rivista periodica “Nazione Napoletana” e il periodico “Lo Brigante” del compianto Carmine Palatucci di Montella, in collaborazione con persone e ragazzi innamorati della propria terra. Il nome è dedicato al primo fondatore dell’ Unità politica e territoriale del “Sud”, un territorio che si estendeva dalla Sicilia all’Abruzzo e che per 7 Secoli e mezzo ha conservato gli stessi confini attraverso diverse dinastie. Quel territorio ha espresso qualità e potenzialità economiche, sociali e culturali in modo eccellente rispetto ai contesti storici e agli altri “stati” italiani preunitari fino al 1860».

Il profondo senso di appartenenza e la continua crociata contro gli stati del Nord, definiti da Gennaro e gli altri briganti dei ladri, sono sfociati nella nascita dell’associazione Ruggero II. «In Irpinia, il Risorgimento vide quasi tutti i paesi insorgere contro il nuovo “stato” unitario attraverso le rivolte di masse contadine e “meno abbienti” le quali soffrivano maggiormente le pressioni fiscali, le privazioni e i molteplici sequestri operati dal Regime dei Savoia. Da questi furono, perciò, chiamati “Briganti”. Il nostro interesse e amore per la nostra Storia, non può vederci lontani da tali vicende, spesso mal raccontate o distorte, che segnarono i destini delle nostre genti. Noi ci sentiamo un po’ come quelle masse di “disperati” di fine ‘800 che furono chiamati “briganti” da chi, coi fatti, brigante lo fu davvero invadendo senza alcuna dichiarazione di guerra e, quindi, in modo subdolo, il pacifico, sovrano e indipendente Regno delle Due Sicilie, di cui i nostri territori erano parte integrante grazie alla presenza del Principato Ultra».

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Il fenomeno del “brigantaggio” fu molto diffuso tra i territori e le genti dell’ ex Regno delle Due Sicilie. La zona brigantesca per eccellenza risulta essere la Basilicata che vide tra i suoi figli, Carmine Donatelli Crocco di Rionero in Vulture, detto “il generale”, il quale costruì e guidò diverse masse contadine alla riconquista dei paesi non solo in Lucania, dove operava in collaborazione di Nicola Summa di Avigliano detto “Ninco Nanco”, ma anche in Puglia con l’ ex Sergente del disciolto esercito duosiciliano Michele Romano di Gioia del Colle e Palmisano di Alberobello. In Irpinia, dalla zona dell’ Alto Ofanto e Formicoso, l’ opposizione antisabauda fu intrapresa da Agostino Sacchitiello di Bisaccia e Filomena Pennacchio di San Sossio Baronia. Altri “briganti” irpini che combatterono a difesa della propria terra e per la “restaurazione” del re Francesco II di Borbone furono Alfonso Carbone di Montella, Vincenzo Petruzziello di Montefalcione e Angelo Ciarla di Montemiletto, uccisi durante le violente rappresaglie operate dai piemontesi nel luglio 1861. Questi episodi sono tristemente celebri per l’assassinio del “piccolo brigante”, Giuseppe D’ Amore, fucilato a soli 12 anni con l’accusa di brigantaggio.

«Altre manifestazioni – spiega Gennaro – ci furono anche a Montemarano, Castelvetere sul Calore e San Mango sul Calore, dove i contadini rivoltosi innalzarono una canto a filastrocca “tramandato” fino ai giorni nostri: “Franceschiello è piccirillo e zompa cumma nu cardillo, Garibaldi è troppo ruosso e non po’ zombà lo fuosso!” Altro brigante che possiamo ricordare fu il prete Don Nicola Coscia di Montemarano, il quale aiutò diverse famiglie contadine a nascondersi e darsi alla macchia. Altre zone del meridione furono interessate da situazioni simili: l’Abruzzo, dove fu protagonista Berardino Viola, collaboratore del Generale Josè Borghès inviato dalla Spagna e fucilato a Tagliacozzo (Aq). Nel beneventano, a Casalduni e Pontelandolfo, sono tristemente ricordati lo sterminio in massa delle popolazioni contadine da parte dei generali “italiani” Cialdini e Negri, oggi insigniti in numerose strade e piazze col titolo di eroi!»

«In Molise – continua - e Alto Sannio ricordiamo con orgoglio il “brigante” Colasuonno in collaborazione dell’avvocato Bax di Isernia, che guidò diverse rivolte contadine, tra cui la rivolta di Pettoranello d’Isernia, sedata col sangue che vide decine di teste mozzate esposte in gabbia! Nel casertano, Terra di Lavoro – Matese, ricordiamo la famosissima Michelina De Cesare, stuprata, torturata e uccisa per aver difeso i propri terreni che gestiva dal sequestro forzato dei soldati piemontesi. Riteniamo quelli che furono definiti “briganti” da uno stato invasore e prevaricatore, come veri patrioti difensori della nostra terra, dei nostri usi e costumi, della nostra economia e delle nostre usanze plurisecolari. Allora questa provincia non conosceva ancora parole come emigrazione, spopolamento e povertà».

Gennaro e i suoi briganti si battono non solo per riscoprire la storia del Sud Italia ma anche per coinvolgere i più giovani intorno al vessillo del Regno delle Due Sicilie che rappresenta la lotta per la conquista di un futuro che ruoti intorno alle potenzialità di questa terra. Il motto è riscoprire il passato, per immaginare insieme un avvenire glorioso che porti il meridione ad una nuova rinascita, debellando le piaghe della fuga dei cervelli e del crollo delle economie locali.

«Allora come oggi – si infervora Gennaro - questa terra fu vittima di uno spopolamento forzato causato dalla distruzione delle economie locali e quindi del lavoro, con la chiusura di industrie come i Reali Setifici di San Leucio, Tabacchifici e Mulini tra Sannio e Irpinia, le Reali Ferriere di Mongiana in Calabria, addirittura per 5 anni, diversi istituti scolastici per l’educazione primaria, fu allora che nacque la triste tradizione dell’ emigrazione. E non solo in Irpinia, ma per tutto il Sud! Oggi la situazione è simile: giovani laureati o comunque istruiti e qualificati, dopo anni di sacrifici economici, sono costretti a partire, diretti verso nord o oltre il confine italiano. Le imposte statali e la tassazione non hanno alcun riguardo e non prevedono agevolazioni per le fasce “deboli” senza reddito o con reddito minimo, per cui ad un mancato pagamento seguono i famosissimi provvedimenti di sequestro da parte Equitalia e simili. Nella nostra provincia ci sono intere aree dismesse dai collegamenti necessari quali ferrovie e servizi bus, senza considerare che senza lavoro non è possibile “mantenersi” con mezzi propri per gli elevatissimi costi assicurativi imposti dalla R.C.A. Quest’ultima, nonostante le statistiche dei sinistri che collocano il Sud come “virtuoso” rispetto al nord d’ Italia, paga quasi il doppio delle tariffe previste. Insomma, con l’ “Unità italiana” i nostri territori persero quasi tutto e, oggi, si continua a procedere con questo trattamento “coloniale” interno».

«I giovani – conclude - sono molto attratti dalle nostre proposte che li esortano a non mollare tutto, a non andare via, decidendo di restare a combattere in difesa della propria storia. Li esortiamo a diffidare dai falsi discorsi partitici di ogni tipo ed ideologia poiché da sempre sono al servizio di trame esterofile, nemiche della nostra terra! La tolleranza, l’educazione, l’umiltà e la preparazione, ma anche gli aspetti “umani” quale l’ organizzazione di cenette e degustazioni tra amici e soci, la passione per la musica popolare e la reciproca solidarietà dei componenti, nonché la collaborazione con altre entità territoriali associative non politicizzate, fanno del Centro Studi Ruggero II una piccola “famiglia” che “accoglie” tutti ed è da tutti è benvoluta».

Andrea Fantucchio