«Al Sud siete tutti sfaticati, assistiti e camorristi»

Il rapporto Svimez dà la stura al peggio del peggio contro i meridionali

Ci voleva il rapporto dello Svimez per riportare il dramma Sud sulle pagine dei giornali nazionali e all'attenzione dell'intero Paese. Era necessaria l'analisi dell'ovvio per capire il dramma dove è sprofondato l'intero Mezzogiorno d'Italia. Siamo certi – oltretutto – che questa attenzione durerà un battito di ciglia. Poche frasi di circostanza e poi stop, tutto rimosso. Come sempre. La “questione meridionale” è uscita da più di venti anni dal dibattito politico (con Berlusconi, ma anche senza: il centrosinistra condivide le stesse colpe). Neppure la locuzione è stata più usata. Bastava citarla per essere etichettato – alla meglio – come “residuo della prima Repubblica”. Con la scusa che “gli interventi a pioggia” non risolvevano il problema, non è stato immaginato nessun altro tipo di intervento. Tanto – era la vulgata che si è impossessata anche di larga parte del Parlamento – è tutto inutile: lì c'è la mafia, la camorra, la 'ndrangheta e poi, i meridionali sono tutti assistiti, sanguisughe. E per costituzione sono dei fannulloni.

Basta fare un giro sui social e leggere i commenti “nordisti” (anche di eminenti meridionali, come qualche vecchio antropologo), che hanno fatto seguito alla pubblicazione del rapporto Svimez: il Sud è messo peggio della Grecia, solo perché se lo merita. Oppure: siamo stanchi di darvi i nostri soldi, vedetevela da soli.

E' uscito fuori tutto il peggio. Stavamo quasi per dimenticarlo, solo perché oggi tutto il risentimento di una larga parte del Settentrione è concentrato sugli immigrati.

Ma il guaio non è questo. Le chiacchiere da bar non hanno mai inciso. Il problema è politico: il dibattito sul Sud è uscito definitivamente da qualsiasi agenda. Viene citato timidamente in campagna elettorale solo per obbligo di firma. Non c'è visione. Non c'è soluzione. Una rassegnata accettazione di quello che è. Gran colpa è di quei parlamentari del Sud che in questi anni – grazie a una ignobile legge elettorale – hanno occupato da nominati i banchi del Parlamento. Non avevano bisogno di rispondere agli elettori e pur di restare incollati alla cadrega (utilizziamo non per caso un termine di origine lombarda), si sono dimenticati di rappresentare il loro territorio.

Il Meridione c'era solo nei pochi e semi deserti comizi, con vaghi accenni su sviluppo, investimenti, politiche per i giovani. Fuffa. Parole senza senso. Figlie del vuoto e non di un progetto. Poi è arrivata la crisi. E sono finite anche le parole. Il Mezzogiorno è stato lasciato solo, anzi peggio: tagli su tagli. Il Sud è diventato sinonimo di sprechi. Nel dibattito nazionale siamo diventati la terra dei fuochi, Gomorra, i forestali calabresi e i falsi invalidi. Niente altro. Un cancro. Impossibile da curare. Meglio lasciarlo andare in malora che sprecare risorse ed energie indispensabili per far ripartire la “locomotiva Settentrionale”.

I figli dei fannulloni sono partiti in massa. A milioni. Per spaccarsi le ossa altrove in cerca di un futuro. Lo avrebbero fatto volentieri anche qui. La nuova emigrazione sta frantumando equilibri già fragili. Il Sud si desertifica. Non esiste un piano industriale. Non ci sono investimenti e neppure progetti. Le infrastrutture – quelle poche che ci sono – cadono a pezzi. E l'unica cosa immaginata dal governo sono i pozzi petroliferi.

La Campania in questo buco nero viene solo dopo la Sicilia. Una regione che sta morendo. Annega nella sua acqua, sprecando energia, vitalità e creatività nel vano tentativo di non andare a fondo. Nel suo discorso di insediamento il neo governatore Vincenzo De Luca ha parlato di una Campania che deve internazionalizzarsi. Conquistare un ruolo centrale nel Mediterraneo e in Europa. Ambizioso sicuramente. Anche troppo. Ma c'è una visione, un quadro di insieme di quello che dovrebbe essere. Una lucida follia che deve animare la politica e che per troppo tempo è mancata. Ci siamo limitati per anni a far quadrare i conti dopo decenni di sprechi (quelli sì veri, ma comuni a larga parte della nazione). Una parte del futuro è nelle sue mani. I parlamentari non incidono. Dovrà essere proprio la Regione a dettare le scelte. A individuare – per quanto è di sua competenza – un vero piano di rilancio industriale e dei territori. A imporre al governo centrale adeguati interventi per le infrastrutture, a creare i presupposti normativi per far sì che la camorra rapace non entri negli appalti pubblici.

L'unica risposta al Nord deve arrivare dal Sud. L'unica ripresa possibile parte da qui. Se una cosa è vera, tra tutte le fandonie raccontate sulla nostra terra, è quella sorta di immobilismo che ha frenato creatività e coraggio imprenditoriale. Quell'attesa perenne di un aiuto, di un finanziamento, che in altri termini si chiama clientelismo. Quell'epoca è finita. Siamo soli. Noi e il nostro destino.

Luciano Trapanese