Alcova, bivacchi e notti insonni nel sottoscala del Gesualdo

A pochi passi da un simbolo della città l'inciviltà regna sovrana. «Sono solo degli animali»

Preservativi, assorbenti, cuscini e panni, un vero rifugio a centro Città. Nel silenzio delle istituzioni la città continua a morire

Avellino.  

«Là sotto è una fogna: graffiti, immondizia, perfino feci. A due passi dal teatro». esclama il nostro accompagnatore indicando la rampa di scale di fronte a noi. Ci troviamo in pieno Centro storico, nei pressi delle scale metalliche che conducono dalla terrazza del teatro Gesualdo allo spazio antistante l’ingresso principale della struttura. L’uomo ci conduce in una rientranza creata fra le scale e la parete di roccia sulla quale sono incisi i primi graffiti. Fra gli altri, il più indicativo è di certo quello che recita “Rifugio”, degna anticipazione di ciò che ci aspetta dentro.

Nella piccola grotta in centro città ci accoglie una mini-discarica: frontalmente una catasta di cartacce, cartoni di pizza, lattine di birra, pacchetti di preservativi e assorbenti, due cuscini sdruciti appoggiati su un’asciugamani appallottolata. Intorno le pareti sono coperte di graffiti colorati. Messaggi stridenti: romantiche poesie di fianco a falli di ogni dimensione, frasi d’amore inframezzate di inviti volgari e bestemmie. Feci rapprese e urina saturano il posto di un fetore insopportabile. Infondo, avvolti da un panno grigio, due pacchetti di sigarette semivuoti e un accendino.  

«Di notte – spiega l’uomo -  non è raro sentire urla o vociare sommessi provenire da qui. Mio figlio l’altro giorno ha visto una coppietta che si baciava proprio all’ingresso di questa fogna. Avrei voluto esserci io; volevo vedere se trovavano il coraggio di ritornare. Questo non è il primo episodio purtroppo. Guardate il parco dietro il teatro Gesualdo, quando non ci sono rassegne come adesso è un vero porcile. Distruggono tutto, si ubriacano, ne fanno alcova e nessuna segnalazione è sufficiente. Quando non si mettono sorveglianti agli ingressi degli spazi pubblici, questo è il risultato. Ai miei tempi non eravamo così. Questi ragazzi sono animali, anzi, gli animali sono migliori, nessun cane o gatto si comporterebbe così».

Quello appeno visto è l’ennesimo esempio di un problema annoso, il processo d’ abbandono che da anni colpisce il centro storico avellinese. Se da un lato, infatti, ascoltiamo a più riprese promesse che vorrebbero fare dell’area che gravita intorno a Piazza Castello un’Agorà cittadina, votata alla cultura e all’aggregazione, dall’altra dobbiamo fare i conti quotidianamente con un’evidenza che promette un futuro differente a tinte fosche. Oggi, quello che dovrebbe essere il cuore pulsante del capoluogo irpino, è un deserto trincerato dai cantieri, che si estende da via Nappi al budello di Piazza Castello con i lavori del Castello che si protraggono da tempo immemore. Un buco nero che ha risucchiato negozi e locali, lasciandosi alle spalle il deserto e episodi di inciviltà come quelli appena visionati. Un buco nero che appare senza ritorno.

Andrea Fantucchio