Sempre più magra, Rita e l'anoressia: Non guardatemi così

35 anni di malattia e il suo libro. Rita alle ragazze: uscite allo scoperto, non vergognatevi

Avellino.  

L’anoressia per chi la affronta è vita e morte insieme. Per Rita è stata un’identità e una forza distruttrice. Questa è la sua storia quella di una fanciulla bambina. Solo le rughe spietate rivelano il passare del tempo, di una vita di una donna che è malata di anoressia da 35 anni anni. Pesa poco meno di trenta chili e ha scritto un libro “Non guardatemi così”, edito da Arpeggio Libero Edizioni, che vuole che in ogni scuola si legga, perchè nessuno viva il suo stesso inferno. Un inferno fatto di sofferenze e cure, ricoveri e dolori e una famiglia distrutta da un percorso tutto in salita. 

Correva sempre Rita, magra come un chiodo. Correva sempre instancabile senza un’apparente ragione. Eppure, dietro quegli occhi splendidi un’ansia indomabile e struggente.  Si ammala quando ha sedici anni, quando dell’anoressia si sa poco o niente. Si ammala quando l’anoressia non si conosce, non si sa che è una malattia. Eppure anoressiche non si nasce, si diventa: richiede tempo, costanza e dedizione. E’ un lungo percorso in cui devi imparare a controllare la mente e il corpo; all’inizio si ribellano ma poi non oppongono resistenza. Così comincia l'incubo: ci si vede grasse, non ci si ama, ci si sente forti nel digiunare. La testimonianza di Rita è il racconto di una vita di dolore, di quando ci si sente forte e tremendamente speciali nel resistere alla fame. Le parole di Rita arrivano dritte al cuore di chi l'ascolta o chi legge il suo libro. Sono il percorso di una donna in lotta con se stessa, forse da sempre. Una lotta a volte affrontata anche con il prossimo. «Le persone ti scansano ti evitano. Non capiscono cosa hai, perchè sei così. Io e mia madre siamo state ghettizzate, evitate, umiliate. C'è tanta ignoranza e cattiveria».  E così la paura diventa umiliazione ed emarginazione. Per questo il libro si intitola "Non guardatemi così", per indurre tutti a riflettere su quanto sia importante non avere paura del diverso. «C'è stato chi ha pensato che si trattasse di una malattia infettiva. Dolore su altro dolore. Sofferenza su altra sofferenza nei nostri cuori già provati dal nostro personale calvario»

Simonetta Ieppariello