Vi raccontiamo il nostro amore gay in provincia

Giuseppe, e la sua storia drammatica. Andrea, la paura di uscire allo scoperto.

Tutto ha inizio un giorno di settembre. L'incontro. L'attrazione. Il primo bacio e l'approccio sessuale. Dopo un anno, il fidanzamento. Sorprese, viaggi e la proposta di matrimonio. Storia di una coppia omosessuale.

Avellino.  

(I nomi dei protagonisti sono di pura fantasia per tutelare la privacy)

Esistono legami indissolubili. Legami d'amore. Amore nella sua vera essenza. Non importa se tra persone dello stesso sesso. Amore è amore.

Il concetto è chiaro. Non tutti lo comprendono. Purtroppo. I pregiudizi altrui sono ovunque. Devastanti. Viviamo in un Paese libero. Eppure non sembra. Gli insulti, le critiche ti rendono prigioniero. Troppa omofobia in giro.

La semplice quotidianità risulta un'impresa. C'è chi si rinchiude in casa. Chi arriva addirittura al suicidio. C'è chi invece se ne frega del resto. Chi vive la propria vita. Perché si vive una volta sola.

Loro sono così. A loro non importa della gente. Amarsi è l'unica cosa che conta. Giuseppe e Andrea. Coppia gay da ben sei anni.

«Incontrarsi è stata una fortuna», dicono.

Storie difficili. Passati che hanno lasciato il segno.

«Su di me ce n'è da raccontare - comincia scherzoso Giuseppe, 51 anni -. Le difficoltà si sono presentate sin dal momento della mia nascita. Nacqui a Roma. Ma non so da chi. I miei attuali genitori mi hanno prelevato in un orfanotrofio. Ebbene sì, sono stato adottato».

Da Roma alla provincia di Avellino. Infanzia serena. Apparentemente. «Avevo all'incirca sette anni. Frequentavo una comitiva di ragazzi più grandi. Mi fidavo di loro». Fiducia vana. Giuseppe non sa a cosa sta andando incontro. «Il leader del gruppo cominciò ad abusare del mio corpo. Violenze fisiche, sessuali e psicologiche. Ero debole. Venivo picchiato persino in strada», afferma a malincuore.

Tutto cambia. L'adolescenza chiarisce le idee. «Capii che gli abusi subiti mi avevano trasformato. Guardavo gli altri ragazzi in modo diverso. Mi piacevano. O meglio, mi attiravano. Io gay lo sono diventato», dice.

Ciononostante, Giuseppe è ancora confuso. Cerca la conferma della sua omosessualità. «Ci provavo con delle ragazze. Ma nulla. Nessun sentimento se non amicizia». Eppure, trova il coraggio di fidanzarsi. Fidanzamento che porterà al matrimonio. «Mia moglie era il mio nascondiglio. In lei volevo celare la mia omofilia. Dalla nostra unione nacquero due bambine». Ulteriore danno. Le nozze non funzionano. «Tradivo mia moglie con altri ragazzi. Erano soprattutto tradimenti fisici. Senza coinvolgimenti emotivi». Conclusioni affrettate. Anno 1992. «Dopo anni di scappatelle, incominciai a frequentare seriamente un uomo più anziano di me. Mi dava un senso di sicurezza. E' stato il mio primo e vero fidanzamento omosessuale. E' durato cinque anni. Lo amavo. Non bastava. La sua gelosia era ossessiva. Decisi così di lasciarlo. Ma non lo dimenticherò mai. Conservo ancora l'anello che mi regalò in occasione di una festa», ricorda con nostalgia.

Nel frattempo il matrimonio va a rotoli. Del resto non poteva continuare. Non in quelle condizioni, ovvio. «Divorziai con la mia coniuge dopo venti anni vissuti sotto lo stesso tetto. La convivenza era diventata insostenibile per entrambi. Eppure lei non ha mai accettato la nostra separazione. Mi ha minacciato più volte di non farmi vedere le bambine. Mi odiava - continua-. Mi odia tuttora. Qualche mese fa lei e mia figlia minore mi investirono di proposito con la macchina. Ne ha risentito il mio braccio sinistro. Sono stato per molti giorni in ospedale».

Anno 2010. Il distacco dei genitori provoca una forte depressione nella figlia maggiore di Giuseppe. Il 25 agosto muore a soli 21 anni. «Non riesco neanche a descrivere il mio stato d'animo. Posso soltanto affermare di aver perso un pezzo del mio cuore. Se non tutto. In parte mi sento in colpa. Mia figlia era fragile. Forse fin troppo. Non ho saputo gestire la situazione familiare», dichiara.

Una spalla su cui piangere. Un sostegno. E' il minimo che ci vuole in situazioni simili. Giuseppe non ha nemmeno quello. «Avevo tutti contro. Ai miei fratelli importava poco. La mia famiglia mi detestava. Riteneva che io fossi la causa della morte del mio angelo custode. Lo ritiene ancora. Avevo estremamente bisogno di qualcuno che mi desse la forza persa da tempo - continua -. Passano delle settimane. Scovai un numero di telefono su un giornale di annunci, nella sezione appuntamenti per gay. Si intitolava "Affare città". Chiamai. Conobbi Andrea».

Decisamente meno burrascoso è il trascorso di Andrea, avellinese di 37 anni. «Sono gay dalla nascita. I miei gesti, i miei modi di fare. Hanno sempre fatto comprendere la mia natura a chi mi circonda», comincia a raccontare.

Infanzia. Adolescenza. Gioventù. Sempre la stessa storia. Un continuo sfottò. «Ricordo che da piccolo desideravo giocare con le bambole piuttosto che con i camion. Mia nonna mi accontentava. Alle scuole materne portavo con me le barbie. I miei coetanei mi prendevano in giro. Lo stesso alle scuole elementari».

Il peggio sta per bussare alle porte. La condizione peggiora con l'arrivo alle scuole superiori. «Frequentavo l' "Ipsia Giorgi" della mia città. Mi giudicavano. Venivo additato come lo zimbello dell'istituto. D'altronde i miei atteggiamenti erano espliciti. In classe avevo solo amiche femmine».

Il liceo volge al termine. Costante è la paura di rivivere quegli anni di continue derisioni. «In pubblico avevo vergogna. Era come se non volessi uscire allo scoperto», conferma.

Mai dire mai. Compiuti i 22 anni, Andrea osa. «Mi sentivo richiuso in un guscio. Ero stanco. Vidi un annuncio su "Affari città", giornale di appuntamenti. Volli pubblicare il mio recapito telefonico. Da lì numerose le chiamate di uomini sposati. Quasi tutti gli appuntamenti mandati in bianco. Il timore era troppo».

Tre anni dopo. Agosto 2010. Andrea rilascia nuovamente il suo numero sulla rivista. Stavolta è diverso. «Ero finalmente pronto ad affrontare una relazione. La mia prima relazione», sentenzia contento.

I giorni scorrono. Il telefono squilla. Voce intrigante. «Era un uomo di nome Giuseppe. Voleva incontrarmi. Accettai».

Appuntamento fissato. Nove settembre 2010. Incontro nel centro di Avellino. L'inizio di una storia senza fine. «Fu un colpo di fulmine. Avevo la certezza che Andrea fosse quello giusto», dice Giuseppe.

Differente è la prima impressione di Andrea. «Giuseppe aveva un non so che di strano. Non mi piacque immediatamente. L'abito non fa il monaco. Un qualcosa mi spinse a continuare la conoscenza. Non ero convinto di lui. Mi piaceva comunque. Adoravo il suo modo di corteggiarmi. Regali. Sorprese. Ero al centro dell'attenzione», ammette.

Andrea si fa attendere. Il corteggiamento del suo spasimante dura circa un anno. «Non mi arrendevo. Non volevo farlo. Lui mi completava. La parte mancante del mio puzzle. Ne ero più che convinto», ribatte Giuseppe.

Ore. Lunghe giornate. Mesi. La conoscenza dei due si prolunga. Un qualcosa di magico accade. Cinque gennaio 2011. L'esperienza del loro primo bacio. Bacio fatale. Bacio che spinge ben oltre. Un'unione completa. Il primo approccio sessuale. Certo, il luogo della prima volta non è uno dei più romantici. Un garage.

«Facemmo l'amore. La passione reciproca era finalmente esplosa. Ne ero certo anche io. Giuseppe sarebbe stato la metà del mio cuore. Fino alla fine dei miei giorni», ribadisce Andrea.

«Quel giorno iniziò la nostra favola. Capimmo di essere fatti per stare insieme», sentenzia l'altro.

Giuseppe si rivela romantico. Affettuoso. Premuroso. Soprattutto fedele. « La fedeltà di coppia non è mai stato il mio forte. Ma con la mia nuova fiamma le cose cambiarono. Nessuna attrazione verso qualcun'altro. Bramavo soltanto le sue attenzioni». Già, è diventata una persona nuova.

A sua volta, Andrea acquista più sicurezza. Per una volta si sente accettato. Voluto. Desiderato. «Giuseppe è il miglior fidanzato che si possa avere. Con lui la meraviglia non può mancare». E' vero. Lo stupore è all'ordine del giorno.

Capodanno 2012. Andrea compie 32 anni. Festa a sorpresa a casa sua. Mamma Luisa ha progettato con Giuseppe di organizzare un party completo di torta di compleanno per il figlio. «La mia gioia fu grande. Non per la festa in sé per sé. Piuttosto perché a organizzarla erano stati loro due», dichiara il festeggiato.

Invitati. Regali. Musica. Qui avviene una fase importante. Il fatidico "ti amo". Ormai niente e nessuno può dividerli. Anche quando un terzo esterno ci prova. «Non litighiamo quasi mai. Se ce ne sono di litigi è a causa dell'invidia umana. Molte le dicerie sul nostro conto. Malgrado le false testimonianze, noi non molliamo. Ci confrontiamo. Ci fidiamo l'uno dell'altro», raccontano.

Anno successivo. Sera d'estate. Cena con gli amici. Un piano è in atto. Giuseppe ha un dono da dare alla sua anima gemella. Anello di zaffiro nero. Non c'è ombra di dubbio. Proposta di matrimonio. «Quella sera giocai un brutto scherzo. A fine cena lo chiamai in disparte. Gli porsi una lettera. C'era scritto che lo avevo tradito. Che non lo amavo più. Tutte bugie, ovviamente».

La reazione di Andrea è brutale. Prende una sedia in ghisa. Unico scopo. Scagliarla contro il consorte. Prima che potesse farsi male, Giuseppe si inginocchia. Tira dalla tasca l'anello ed esclama: «Se vuoi ammazzarmi fallo. Prima però sposami».

Passaggio immediato. Da rabbia alla commozione. Pianto generale. Il "sì" alla proposta è sottinteso.

Insomma, a oggi sei anni di vera intesa. Divertimenti. Viaggi. «Stiamo vivendo un sogno. Nei weekend viaggiamo. Nelle ferie altrettanto. Abbiamo esplorato molte zone. Siamo stai ad Alberobello, Capri, Matera e a Saviano per il Carnevale. La nostra ultima vacanza è stata al Rainbow, Roma. In fondo la vita è breve. Bisogna imparare a viverla. Cosa che non ho fatto prima di conoscerlo. Lui mi ha insegnato a goderla - continua -. Poi, c'è la nostra giornata tipo. Al mattino passo a prendere Andrea con la macchina e andiamo insieme a lavoro. Dopodiché l'intera giornata è dedicata alla nostra intimità. Momentaneamente non viviamo insieme».

La coppia di amanti non ha paura di mostrarsi. Inizialmente Andrea ha avuto un po' di timore. Ma nelle braccia del suo amato svanisce ogni incertezza. «Passeggiamo normalmente mano nella mano nel corso di Avellino. Ci abbracciamo. Ci baciamo. Qual é il problema? Noi siamo felici. Il resto è noia», continua il cinquantunenne.

Attualmente lavorano entrambi in un'impresa di pulizie. Complici anche nel lavoro. Complici nel futuro. «Siamo impegnati nel cercare un appartamento tutto nostro. Abitare in un paesino della provincia di Avellino non sarebbe male. Vogliamo sposarci al comune. Bambini da adottare non ne vogliamo. Siamo dell'idea che si debba crescere in presenza di una figura maschile e una femminile. Sicuramente abbiamo tanto bene da offrire. Ma non è la situazione adeguata per un ipotetico figlio», dicono.

A una storia come questa, non può mancare un finale. Una morale. Un appello di coraggio a tutti i gay. A tutte le coppie omosessuali. I protagonisti concludono:

«Svegliatevi. Non dormite. Uscite di casa. Uscite fuori. Andate allo scoperto. Non vergognatevi. Chi la stabilisce la normalità? Nessuno. E allora? Non abbiate paura. Solo così potrete essere orgogliosi di quel che siete. Solo così potrete essere come noi. Innamorati. E ricordate. Noi siamo speciali. Siamo dotati di una sensibilità che gli altri non hanno. Da fare invidia. Siamo particolari. Non pensate al ragazzo omofilo come al tipico buffone dei gay pride. Quelle sono pagliacciate. Non è questo il vero mondo omosessuale. Vi chiedo soltanto di credere nelle vostre capacità. Soltanto allora i gay saranno rispettati. Soltanto allora sarà rivoluzione».

Mariagrazia Mancuso

(studentessa del corso di giornalismo di Ottopagine organizzato nell'ambito dell'iniziativa scuola/lavoro)