Il dramma dei padri separati: noi ridotti alla miseria

Sono loro i nuovi poveri. Vivono per strada, mangiano alla Caritas.

Una tragedia vissuta in silenzio, per orgoglio. Per i figli. Ma sono sempre di più. E nessuno se ne occupa.

Avellino.  

di Luciano Trapanese

Morire di freddo in un centro commerciale in rovina, a poche centinaia di metri da quella che una volta era casa sua. Il dramma di Angelo è il dramma (con i dovuti distinguo), di centinaia di migliaia di papà divorziati. I nuovi poveri. Dormono in macchina, pranzano nella mensa dei poveri. Per dignità vanno al lavoro in giacca e cravatta. Ma sono sempre più disperati, più soli. Più prossimi alla depressione. Più vicini a una vita da clochard. Basta poco. Un niente. Il lavoro che sfuma. E di questi tempi è più possibile che improbabile.

Fate due conti: stipendio da impiegato, il fitto di casa della ex moglie da pagare, il mantenimento dei figli. Resta poco e niente. E se non ci sono più i genitori, quello che resta non è sufficiente a garantire una casa o una vita almeno decente.

Capita spesso. Nel silenzio di tutti. I papà sul lastrico non fanno notizia. Ma non solo, capita che a tacere siano proprio loro, i padri divorziati. Per dignità, per orgoglio, per non far conoscere una condizione insostenibile.

Eppure basta un giro alla Caritas. O ascoltare le storie di tanti barboni. Molte hanno la stessa origine: la catastrofe economica provocata dal divorzio.

Una mazzata anche psicologica. Che infila nel dolore per una vita in frantumi anche il rapporto con i figli. Devastato non solo dalla separazione, ma anche dalle tasche vuote. Dal non aver neppure un tetto dove ospitarli, anche solo per qualche ora, qualche giorno.

La casa diventa una macchina o un garage. I più fortunati tornano dalla mamma.

Ogni anno su mille matrimoni più di 300 finiscono con un divorzio. Il 61 per cento dei padri separati non riesce a far fronte alle spese di prima necessità. Un esercito di poveri che si allarga ogni anno. E si somma ai tanti che non riescono a tirare avanti perché hanno perso il lavoro.

Molti preferiscono vivere la loro condizione con la dignità del silenzio, come se quel silenzio attutisse il disagio e la disperazione. Purtroppo non è così.