Tentato omicidio a Pago: l'indagato resta in carcere

Il Riesame ha bocciato il ricorso per la scarcerazione del 39enne arrestato dai carabinieri.

Pago del Vallo di Lauro.  

 

di Andrea Fantucchio 

Resta in carcere Angelo Vitale, il 39enne di Pago del Vallo di Lauro accusato del tentato omicidio di Vincenzo Grasso, 37enne anche lui di Pago. Il tribunale del Riesame di Napoli ha respinto il ricorso degli avvocati Raffaele Bizzarro e Attilio Panagrosso. La vicenda giudiziaria nasce da un agguato subito da Grasso nella notte fra il 15 e il 16 febbraio. La moglie lo aveva trovato sanguinante nel giardino di casa. Era stato ferito da un proiettile sparato da una pistola di piccolo calibro e da distanza ravvicinata. L'arma non è stata mai ritrovata. Ci stanno lavorando i carabinieri della compagnia di Baiano, ai quali è affidata l'indagine. Mentre a occuparsi della ricostruzione della balistica è l'ingegnere incaricato dalla Procura, Alessandro Lima. Lui dovrà realizzare tutti gli accertamenti sull'unico bossolo rinvenuto finora.

Grasso era stato salvato dall'intervento tempestivo degli operatori del 118 e poi dal gran lavoro svolto dagli specialisti della struttura ospedaliera del San Giuseppe Moscati di Avellino. Ma, una volta ripresosi dalle ferite, non aveva mai voluto sporgere denuncia né collaborare nelle indagini. A incastrare Vitale le intercettazioni svolte dagli uomini del nucleo investigativo del comando provinciale di Avellino, diretto dal capitano Quintino Russo.

A carico dell'indagato c'è anche una denuncia per maltrattamenti in famiglia. Una serie di intercettazioni che avevano spinto i carabinieri di Lauro a diversi interventi. Ma anche in quel caso le vittime non avevano mai sporto denuncia. E, per gli investigatori, sarebbe stato proprio il tentativo di Grasso di far da paciere nelle questioni familiari che riguardavano Vitale, ad aver innescato la reazione di quest'ultimo. Poi culminata nell'agguato con i colpi di pistola.  Rispetto all'inchiesta il comandante provinciale dell'Arma, il colonnello Massimo Cagnazzo, aveva parlato di «un'ambiente particolarmente omertoso che aveva ostacolato le indagini».