Amianto nel Mercatone, siamo tornati nel mostro. VIDEO e FOTO

La segnalazione di un lettore. Ecco l'interno dell'edificio abbandonato più famoso di Avellino

Trenta milioni di euro sprecati in trent'anni di non attività. Proposte e sprechi clamorosi. Reportage della struttura più discussa della città

Avellino.  

Paura per quell'amianto che si troverebbe nel Mercatone. Questo almeno è quanto si nota dalle foto di un nostro affezionato lettore, Antonio Iannaccone, che grazie al suo reportage fotografico ci mostra il gigante morente più (tristemente) famoso di Avellino.

(Andate subito a fine articolo se volete vedere tutte le foto di Antonio e il video da noi realizzato)

Ciò che notiamo dai suoi scatti, così come dalle riprese che abbiamo realizzato in una precedente diretta facebook, lo stato del Mercatone non fa che peggiorare di volta in volta. Ogni tour al suo interno non fa che evidenziare altre ombre della vergogna più grande della città: il progetto utopico di un gigantesco complesso commerciale da far invidia a tutta la Campania, che non ha mai visto la luce.

Trasformato in gigantesca ambientazione ideale per un horror o un videogame spara tutto, ritrovo per festini alcolici di senzatetto, hotel per sfollati, posto ideale per coppiette in cerca di intimità, e per writers che vogliono provare ad esercitare la propria creatività.

Come dicevamo, tutto questo con una spesa di oltre trenta milioni di euro. Ecco a voi un reportage sul Mercatone.

Costo: 30 milioni di euro

Segni particolari: oltre 30 anni di inattività

1988: La struttura viene inaugurata dall'allora presidente del consiglio, Ciriaco De Mita.

1994: Il mercatone, durante l'amministrazione Romano, viene già abbandonata. I negozi spostati da Piazza Kennedy per incentivare il commercio della nuova struttura sono già falliti. Luogo isolato e progettazione sbagliata: troppo caldo d'estate, troppo freddo d'inverno.

Fine anni '90 primi anni 2000: Di Nunno ipotizza un project financing: chi prende in carico la struttura (gratis) riceva i profitti di gestione per un certo tempo. Poi Il Mercatone torna al Comune. Galasso compie il vero disastro. Inspiegabilmente rinuncia al progetto di Di Nunno e si affida ai fondi Pica (paga l'Europa). Interrompe il tunnel (e causa il disastro che dura ancora oggi) per completare una parte del Mercatone. Ma nel 2010 i lavori si bloccano ancora. In fumo altri quattro milioni di euro.

Inoltre ci sono altri soldi da versare: quelli che il comune perde nei confronti dei proprietari del terreno sul quale sorge il Mercatone, entrati in contenzioso con l'amministrazione.

Foti a oggi: Il mostro è ancora lì. Su valutazione di Vanacore si interrompono i progetti del Mercatone a favore di Piazza Libertà. Anche lì altra telenovela. Non ancora del tutto terminata anche se, pare, forse ad ottobre la piazza sarà finalmente completata. Nel mezzo dei progetti di riqualificazione esterna alla struttura, come l'ascensore ribattezzata “missile”, che poco centrano con il Mercatone. Come spiegò ad Ottopagine l'ex assessore Nicola Giordano, gli interventi sono slegati da qualsiasi progetto organico per rilanciare la struttura. Insomma niente di nuovo all'orizzonte. Intorno al Mercatone un'area che versa in stato di abbandono e fa angolo con l'altra scatola vuota della città, l'ospedale Capone. Un'indecenza per Avellino.

 

GRAFFITI E SKATEBOARD: BENVENUTI NEL MUSEO MERCATONE 

«Veniamo qui di primo pomeriggio o in tarda mattinata a graffitare e organizzare il lavoro. In quest’ala non abita nessuno, mentre, al primo piano, vivono tre persone: due ragazzi e un vecchio, tutti stranieri. Hanno trasformato i negozi abbandonati in abitazioni arredate con oggetti raccolti in giro per la città: poster, tavoli, materassi e perfino una tv». A parlare è Marco, diciannove anni, uno dei writers che anima il Mercatone, il celebre gigante dormiente che da più di due decenni rappresenta una ferita profonda nel centro di Avellino.

«La nostra crew – continua Mario – è composta da cinque ragazzi fissi, più quelli che si aggregano a seconda della grandezza e della difficoltà del lavoro che vogliamo realizzare. Qui creiamo esclusivamente murales, ma in genere ci piace sperimentare molto, così ci occupiamo anche di progetti grafici per album musicali. Le pareti e i pavimenti del Mercatone si prestano alle gigantografie che in città, per ovvi motivi, sarebbe difficile realizzare».

Riavvolgiamo il nastro fino al momento del nostro arrivo.

Per accedere al Mercatone scendiamo delle scale rese scivolose dal fango e ci troviamo di fronte una stretta feritoia fra rovi e erbacce. Procediamo fino all’ex zona commerciale: i negozi sono stati trasformati in abitazioni di fortuna dove si cerca di proteggersi dal freddo grazie a teli sdruciti, paratie di legno, pannelli di compensato. L’aria è satura del penetrante fetore di scarpe da ginnastica e fango bagnato. Un rapido sguardo intorno ci permette di raccogliere i frammenti di vita che costellano questo luogo: le coperte sul pavimento, una ciotola d’acqua dove sta bevendo un gattino, degli abiti appesi alle grucce, uno zaino sul pavimento, delle scarpe riposte ordinatamente in fila e, infondo, una stufetta ad olio.

Facendoci coraggio sbirciamo nei vani, la prima abitazione giace addormentata: un poster di una donna seminuda ammicca all’entrata , sulla destra c’è un tavolino sul quale sono poggiati qualche posata di metallo e barattoli di zucchero e caffè, a sinistra ci sono due letti disfatti. Sulle pareti sono appesi poster e cartoni nel tentativo di isolare lo stabile dal freddo. Usciamo e procediamo oltre. Al secondo vano si accede da una saracinesca semi-abbassata che ci costringe a chinarci per entrare.

Questa volta a sorvegliare l’ingresso è un poster di Piero Angela al quale sono state aggiunte un paio di corna. Infondo all’abitazione , una bicicletta verde appoggiata al muro, a destra si procede nella stanza attigua: qui il nostro inquilino ha dato il meglio di sé raccogliendo, di fianco al letto, una televisione, più coreografica che funzionale, una bottiglia di vino e un tavolino. Sul pavimento numerose cicche di sigaretta. Dei rumori ci fanno sobbalzare, udiamo dei passi e delle voci. Sbirciando dalle feritoie della saracinesca ci accorgiamo che non siamo soli: un gruppo di ragazzi armati di zaini si è spinto fin qui.

«Io ci sono già venuto altre volte – dice Tommaso – ma questa è la prima volta che porto anche loro. Qui è davvero tranquillo e al secondo piano c’è tantissimo spazio, è un vero peccato che sia abbandonato. Mio padre mi ha parlato spesso del Mercatone e così, incuriosito dai suoi racconti, un giorno sono entrato».

Tommaso mi fa da guida al piano di sotto, scavalchiamo un muretto e siamo nello spiazzale che precede la zona dei lavori. L’area dei cantieri è particolarmente buia, avanziamo a piccoli passi seguendo la nostra guida e i suoi amici. Ecco che i primi spiragli di luce naturale cominciano a rivelarci che lo scenario sta cambiando: fra le fila dei pilastri e sulle pareti immerse nella penombra appaiono i primi murales. Lentamente, dinanzi ai nostri occhi, un mondo fatto di sfumature sgargianti, testi originali, disegni che compongono una dimensione parallela.

Quell’Avellino di strada raccontata dai figli della strada più giovani e coraggiosi. E’ inecessaria una bella dose di coraggio e incoscienza per spingerci fin qui. Saliamo la rampa di scale che conduce al secondo piano.

Tommaso aveva ragione, qui c’è tantissimo spazio e dal balcone è possibile ammirare tutta la città . Siamo stati preceduti: ci vengono incontro tre ragazzi. Uno di questi è Marco che si presenta e mi prende in consegna facendomi da guida negli stabili sottostanti: «Quando siamo arrivati la prima volta eravamo incuriositi dai locali abitati che vedevamo dall’alto. Così ci siamo addentrati fin laggiù. Un ragazzo giovane, visibilmente ubriaco, ci è venuto incontro urlando “Hai paura di me?”, ma quando abbiamo risposto negativamente si è calmato. Non siamo riusciti a scambiare più di qualche parola con lui perché capiva poco l’Italiano. C’era anche un vecchio che ho visto spesso chiedere l’elemosina nei pressi di Piazza Kennedy, a volte accompagnato da un cane e un cartello».

I murales sono così diversi fra loro: ce ne sono di sgargianti e tondeggianti, altri appena abbozzati, altri grotteschi e scarni: «Ogni crew è rappresentata da un logo e da caratteristiche che connotano il proprio lavoro. C’è chi punta su colori accesi, chi sulle scritte stilizzate e chi fa delle tematiche il suo punto di forza. Ma a fare la differenza è sempre e comunque la creatività e la voglia di andare oltre. Oltre quello che vedi, oltre il già fatto».

«Questo posto- continua – è la metafora perfetta se vuoi superare i tuoi limiti e le tue paure, per noi è stato così. Quante volte, guardando dall’alto i negozi abbandonati, abbiamo fantasticato su chi abitasse qui. Finché ci siamo fatti coraggio e siamo entrati. La prima volta ci siamo spinti poco oltre i rovi, andando poi sempre più in là. Abbiamo ridato colore dove possibile coprendo le pareti con disegni e scritte. E, poi, tanti nostri amici, spinti dai nostri racconti, ci hanno seguito. Mi piace pensare che abbiamo contribuito a far rivivere questo luogo, anche se solo in parte. Dove arriva il colore, non può esserci silenzio».

«Ora – continua – siamo almeno quattro crew differenti che salgono fin quassù e sono certo se ne aggiungeranno delle altre. Magari il mio è solo un sogno un po’ ingenuo, ma sono convinto che se ci supportassero, anche in minima parte, noi giovani potremmo restituire questo spazio alla città. Certo ,bisognerebbe aggiustare i locali e aiutare quelli laggiù a ritrovare la propria dignità, ma sognare non costa nulla».

A volte solo pochi spiccioli, il prezzo di una bomboletta spray.


CITTADELLA DEL SESSO, MOSCHEA, OBBROBRIO DIMENTICATO

A parte i progetti su manzionati, a cavallo degli anni duemila diverse furono le ipotesi per un riutilizzo del Mercatone. Ne ha parlato anche il direttore Luciano Trapanese in un precedente articolo. Fece scalpore la proposta del consigliere comunale Pasquale Anzalone, di trasformare l'edificio in una cittadella del sesso. Così come l'idea della comunità islamica, spinta dai soldi di finanziatori arabi, che volevano farne una Moschea.

Quest'ultimo progetto, oggi, avrebbe portato a reazioni sicuramente veementi da parte della popolazione locale. Ma l'unica certezza è che negli ultimi tempi si parla del Mercatone sempre di meno.

Peggio, nei cuori e nei discorsi della città, ormai ha assunto la connotazione di marchio terribile con il quale convivere a vita. Quasi una cicatrice di un brutto incidente, alla quale si è costretti, giocoforza, a fare l'abitudine.

Costa troppo abbatterlo, ristrutturarlo, gestirlo. E allora lo si fa marcire lì, imperituro monumento ad un'epoca nella quale solo la spocchiosità politica corroborata da ignoranza e dai finanziamenti a pioggia, ha potuto concepire un così titanico obbrobrio.

Andrea Fantucchio