di Luciano Trapanese
Club privé e prostituzione. Un confine sottile, emerso nell'indagine dei carabinieri che ha portato al blitz nel Libidos, il locale ad alto contenuto erotico sigillato a Monteforte Irpino.
Lì per gli inquirenti della procura di Avellino non ci sono dubbi: c'era un evidente sfruttamento della prostituzione. Che è stato configurato in questo modo: i clienti pagavano le prestazioni delle ragazze; alle entreneuse i soldi venivano elargiti dal titolare del club, che in alcuni casi neppure pagava il dovuto, e per gli investigatori con l'obiettivo di tenere le vittime in stato di soggezione economica; le mogli di alcuni soci prendevano parte attiva alle serate e avevano anche la funzione di adescare clienti e promuovere il club su chat erotiche e con una intensa attività sul web; molti frequentatori sono stati interrogati ed hanno ammesso di aver pagato per le prestazioni sessuali ricevute.
Un quadro che – se confermato – lascerebbe poco spazio a interpretazioni. Soprattutto se si aggiungono le intercettazioni che – a dire degli inquirenti – confermano le ipotesi e aggiungono tasselli all'attività del club. Che sarebbe – in realtà – un bordello in piena regola.
Ma di privè è piena l'Italia. E la Campania, naturalmente. Associazioni che si muovono in un contesto di legalità, ma che – proprio per l'attività che ospitano e l'oscillante e molto interpretativa configurazione normativa che regola l'ambito delle prestazioni sessuali -, è costantemente in bilico tra lecito e illecito. Anche solo amministrativo.
La questione riguarda i locali per scambisti e i club notturni frequentati da coppie esibizioniste.
Molto spesso i club sono formalmente associazioni culturali. Promuovono il libero amore e lo scambio di attenzioni sessuali tra coppie consenzienti. La tessera d'ingresso può costare fino a 200 euro per gli uomini. Per le donne l'accesso è gratis. Fin qui è tutto in regola. Oltretutto all'interno di questi locali non si consuma alcol (e naturalmente droga). Ma basta poco per oltrepassare la barriera tra legale e illegale. Basta – per dire – che nel club vengano pagate delle coppie per “scaldare” l'atmosfera. O anche ragazze disponibili per le serate “gang bang” (intrattenere insieme cinque o più uomini).
Anche per questi motivi i privè sono costantemente nel mirino delle forze dell'ordine.
Quella che è cambiata è la percezione delle persone rispetto a questi locali. Per meglio dire: i presunti reati legati alle attività sessuali che si svolgono nei club sono ritenute dall'opinione pubblica «non pericolose socialmente». E quindi – in linea di principio – non dovrebbe essere sanzionate.
Una percezione vera però solo in parte. E che risulta del tutto fuori luogo in casi come quello del Libidos (se le ipotesi di reato venissero confermate): lì lo sfruttamento della prostituzione è chiaro, evidente e costringe – con lo stato di necessità – le vittime a sottostare.
La verità è che la legge Merlin avrebbe forse bisogno di essere rivista. Sono trascorsi cinquanta anni dalla sua entrata in vigore e l'Italia è cambiata. Il punto fermo dovrebbe restare quello dello sfruttamento. In quel caso anzi, e nei tristi tempi della tratta delle schiave, le sanzioni meritano anche di essere aggravate. Va rivista – probabilmente – la parte che riguarda la prostituzione sic et simpliciter. Che oggi – grazie anche al web – ha conquistato altri luoghi oltre le strade. E non solo: la crisi economica (il bisogno), e una maggiore tolleranza sociale rispetto all'uso della sessualità consenziente, hanno di fatto contribuito alla crescita esponenziale sia delle donne disposte alla “professione”, sia dei clienti.
Il discorso è questo: se un'attività ritenuta illegale non viene vissuta come socialmente pericolosa e se il tentativo di ridurne la diffusione non ottiene alcun risultato, è forse il caso di iniziare a pensare con razionalità a una regolamentazione. Che deve ottenere due obiettivi: la tutela massima di chi si prostituisce e la normalizzazione della loro professione (come accade in altri Paesi europei), anche dal punto di vista fiscale (che è un po' lo stesso discorso che anima il dibattito sulla legalizzazione della marijuana).
La questione divide ancora molto. La Chiesa per ovvi motivi è contraria a qualsiasi – diciamo banalmente – riapertura delle case chiuse. Ma anche una larga fascia di persone ritiene la mercificazione del corpo della donna un insopportabile ritorno al passato. Posizioni naturalmente tutte condivisibili.
E tu, cosa ne pensi?