L'estate infinita dell'emigrante irpino, il libro di Nesi

L'autore Premio Strega nel nuovo romanzo racconta la storia di un arianese che va al Nord

Avellino.  

Quand'era davvero iniziata l'"estate infinita" dell'emigrante irpino Pasquale Citarella, nell'omonimo romanzo, fresco di stampa per Bompiani, dello scrittore e deputato Edoardo Nesi?

La prima volta che portò a casa "soldi veri", distendendoli sul letto coniugale come un trofeo ("Banconote di tutti i tagli: cinquemila, diecimila, cinquantamila, e anche qualcuno di quei grandi fogli da centomila che aveva visto solo al cinema") per farli ammirare anche ai figli e alla moglie, Maria, in verità più preoccupata che raggiante di fronte a tanto inconsueto spettacolo?

O il giorno in cui era stato convocato da Cesare Vezzosi, rampante imprenditore edile, per la costruzione della nuova fabbrica tessile del giovane industriale toscano Ivo Barrocciai, tanto immensa e lussuosa da "far invidia ai milanesi"? Sì, proprio il Vezzosi, detto "il Bestia", impenitente viveur con la vocazione del tennis e il vizio delle donne, che non perdeva occasione per sbertucciarlo sulle sue origini: "marrocchino", lo apostrofava, approfittando della timidezza di Pasquale (a suo giudizio incapace di procurarsi "le fiche" perchè, da buon "terrone", preferiva "la donna pelosa"), o "la freccia del Sud", alludendo con ironia alla sua capacità di completare in tempi da record i lavori da muratore.

Oppure, forse, la sua "estate infinita" era sbocciata molti anni prima: il giorno in cui il padre "era tornato ad Ariano e aveva detto alla famiglia che si sarebbero trasferiti al Nord, tutti, entro una settimana" e gli brillavano gli occhi perchè finalmente aveva trovato un buon lavoro e si sarebbe lasciato per sempre alle spalle la miseria, "quella grandissima puttana" (già, come "la donnaccia" dei contadini del Formicoso).

Una risposta non riesce a darsela neppure lui, il vigoroso e infaticabile Pasquale, neanche quando, in una rara pausa dal lavoro, si ferma a riflettere e - in uno dei capitoli più intensi e fluidi del romanzo - vede scorrere il film della sua vita.

Di una cosa, tuttavia, era assolutamente convinto: che la sua "estate infinita" voleva viverla per sempre accanto a sua moglie Maria, saggia e fedele compagna di vita e madre dei loro figli Dino ed Antonio. Di lei "s' era innamorato a prima vista, il giorno in cui era arrivata col resto della famiglia Montecastro da Panni, un altro dei paesini arroccati sui monti tra l'Irpinia e la Puglia, i cui abitanti avevano deciso di riversarsi nella città che aveva accolto e adottato Pasquale", e le sue forme floride, gli occhi grandi e scuri e la voce sommessa gli ricordavano tanto la Claudia Cardinale che aveva ammirato una volta in un film, forse I soliti ignoti.

Ricorda certe atmosfere di C'eravamo tanto amati il bel romanzo di Nesi, tornato ai livelli della Storia della mia gente che gli ha fatto vincere quattro anni fa il Premio Strega. E se il Vezzosi richiama per molti versi lo spregiudicato e anaffettivo Gianni Perego/Gassman del film di Scola, e sua moglie Arianna (bella, trascurata e sensibile come la Elide/Giovanna Ralli) si afferma nel corso della narrazione - e del triangolo amoroso tra lei, Cesare e Ivo - come il personaggio più seducente e riuscito, è indubbio che l'autore indichi nella coppia di emigranti irpini Pasquale e Maria il polo positivo, e moralmente più solido, di questa storia ambientata nel decennio '72-'82, in un'Italia vorticosamente protesa verso un progresso che diventa reale e finirà per sembrare addirittura inarrestabile, eterno: un'estate infinita.

Non è casuale, peraltro, che il romanzo sia farcito di citazioni cinematografiche, anche se a restituirci quel clima di impetuosa vitalità sono soprattutto i calzanti riferimenti musicali e canori (dai testi dei cantautori alla disco-music) che Nesi sparge copiosamente nei momenti clou del romanzo. Tanto che la complessa trama a episodi, governata dallo scrittore con un abile e non facile montaggio, si dipana proprio nella scena corale di un evento musicale realmente accaduto e tuttora memorabile: il primo concerto di Gloria Gaynor in Italia, sulle spiagge della Versilia.

Un'Italia frenetica e rumorosa, quella che risalta nelle pagine di questa saga collettiva; persino "caciarona", in preda a un'operosità contagiosa, e ingenuamente spregiudicata: "l'Italia migliore di sempre", secondo Nesi (il dibattito è aperto...), certo più attraente rispetto all'Italia di oggi, parolaia e inconcludente, carica di rabbia repressa - è casuale che sia il rap il genere musicale più in voga? - e di preoccupazione per il futuro.

Un futuro che appena ieri, sostiene Nesi, "non finiva mai". Nemmeno per un umile lavoratore come il Pasquale Citarella da Ariano Irpino, che lascia il suo paese (come il suo amico Carmine Schiavo, operaio e sindacalista "barbudo", forse in omaggio a Fidel, e tanti coetanei) da misero disoccupato senza prospettive, trova lavoro in Toscana come imbianchino e infine vi si stabilisce per sempre creando una piccola impresa edile tutta sua.

Nel suo personaggio (uno dei più importanti e, come abbiamo visto, il più positivo del romanzo), tratteggiato con apprezzabile realismo da Nesi, si rispecchia la parabola dell'Irpinia dei nostri padri, che nel secondo dopoguerra, con mille sacrifici e tante contraddizioni, si è lasciata alle spalle una miseria atavica per vivere una stagione di progresso economico e di riscatto sociale: un'Irpinia, quella pre-terremoto dell'80, fatta di poche parole e tanta umiltà, e soprattutto di una disponibilità quasi eroica al lavoro manuale (che Pasquale rivendica con orgoglio in uno dei dialoghi più vibranti del libro) e allo studio, che seppe preservare l'eredità migliore di una cultura contadina basata su sentimenti genuini e valori radicati nei millenni, scolpiti nella quercia come i tratti fisici di Pasquale l'arianese e la saldezza di carattere e di idee di Maria, fin da quando, ragazza, era la "Claudia Cardinale del Cervaro".

Paolo Speranza