Avellino mortifica l'arte

Intervista al pittore Mario Alifano

Avellino.  

 “Io non celebro la vita nell’arte, l’arte è quella parte di me negata alla vita che diventa vita nell’arte” è  una frase dell’artista  brasiliano Sidival Fila  la giusta cifra per definire l’orizzonte artistico di Mario Alifano, sessantaduenne pittore avellinese. Nato a Nusco da padre di Lioni si è trasferito ad Avellino dove vive da ben 50 anni,  le sue opere hanno fatto parte di esposizioni anche a livello nazionale e di collezioni internazionali Ascoltare Alifano significa innanzitutto lasciarsi attraversare dalla sua esperienza, dalle suggestioni  ed emozioni  per capire che essere artisti significa prima di tutto fare i conti con la propria interiorità .  Il suo studio  è un baule di memorie: come le sue opere, in cui la materia viva parla e racconta di frammenti vissuti qua e là. Afferrati e impressi  nell’eterno dell’arte.

Come e perché ha cominciato?

«La mia iniziazione artista è cominciata nel 1995, vivevo un profondo conflitto nell’ambiente di lavoro (Alifano è architetto, ndr) e l’arte diventò una valvola di sfogo. Volevo dimostrare qualcosa agli altri e probabilmente c’era anche una mancanza ancestrale con cui inevitabilmente dovevo fare i conti.

In quel periodo ha avuto inizio  la mia avventura napoletana: prima di tuffarmi nell’arte avevo bisogno di conoscere l’ambiente, capire cosa  avrebbe girato intorno a me.  Questa esplorazione, quasi antropologica che è stata densa di stimoli ha coinciso con un modo di vivere diverso in giro per Napoli». In quegli anni Mario Alifano conosce Umberto Manzo e la galleria Trisorio, frequenta la galleria di Alfonso Artiaco e la galleria del “grande” Lucio Amelio e la sua collaboratrice Paola Colacurcio. Con loro avviene la sua formazione in ambito artistico attraverso l'esperienza personale con gli artisti e le loro opere. Infine, non ultima, l'esperienza con la Galleria Civica di S:Martino Valle Caudina e le sue splendide mostre agostane curate dal collega architetto ed amico Mimmo Petecca.

 

Uno dei drammi della città di Avellino è che l’arte, quella autentica, è poco compresa. Ancora oggi, in pochi conoscono artisti di enorme levatura. Qual è il suo rapporto con la città?

Ho sempre voluto allontanarmi e uscire ma in me conviveva anche un’esortazione a restare e non abbandonare questa città.  Ad Avellino fare arte è abbastanza mortificante.  L’arte è quasi sconosciuta benché ci siano molti artisti interessanti. C’è,però, anche un atteggiamento sproporzionato da parte nostra, che talvolta assume i tratti della presunzione. Vivo da 50 anni in questa città, ma non conosco (e capisco) gli ambienti e non riuscirei a spiegare . Ad Avellino o si fa politica o cultura. Ma è il solito discorso sui compartimenti stagni, ad Avellino manca il dibattito, quello vero: c’è difficoltà al confronto e nel riconoscimento tout court soprattutto nel mio campo. C’è , però, da parte di certi artisti e intellettuali una “ pretesa” di status. Preferisco inseguire la semplicità delle persone nella propria quotidianità. Una naturalezza sociale che manca ad Avellino. 

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Marina Brancato