Irpinia, il terremoto infinito. Paghiamo ancora il commissario

Ha sollevato un polverone la proposta di Sibilia di sopprimere la struttura commissariale.

Il parlamento ha votato contro: il commissario resta. Ma non si capisce a cosa serva. Rialimenta il vecchio discorso sull'Irpiniagate. E non chiude una pagina che è ormai relegata nei libri di storia.

Avellino.  

di Luciano Trapanese

Un terremoto è per sempre. Quello dell'Irpinia in particolare. Il polverone – l'ennesimo di una storia infinita – è stato sollevato dal deputato Cinque Stelle, Carlo Sibilia. Motivo del contendere: la struttura commissariale nata all'indomani del sisma e ancora in funzione. Trentasette anni dopo.

Sibilia ha proposto – nel decreto terremoto – la soppressione di quella struttura. Emendamento appoggiato da Lega Nord e Fratelli d'Italia. Ma bocciato dall'aula.

La struttura resta lì. Nonostante tutto. E resta lì anche Filippo D'Ambrosio, ingegnere romano, da quattordici anni a capo del carrozzone. Uno dei tanti. E percepisce – lui, già pensionato a tremila euro – 64 mila euro lordi l'anno.

In una intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, l'ingegnere spiega che lui è iper impegnato per far andare avanti la commissione: in quattordici anni ha assunto 1640 decreti e firmato 27mila lettere di corrispondenza.

Ma non solo. Che senza quel lavoro “tutto si bloccherebbe”. Il punto è qui, dentro quel “tutto”.

Tutto cosa?

Trentasette anni dopo è davvero difficile giustificare l'esistenza di una “struttura commissariale” che governi il post terremoto. Non siamo distanti dal mezzo secolo, intere generazioni neppure sanno cos'è stato il terremoto in Irpinia (sperso nella memoria quasi come la seconda guerra mondiale), eppure si continua a parlare di ricostruzione. Giustificando – come ha fatto il parlamento – la permanenza in vita di un carrozzone.

Ci sono due progetti importanti che – legati ancora ai fondi del terremoto – il commissario D'Ambrosio sta “seguendo”: la Lioni – Grottaminarda e in parte la Pavoncelli Bis.

Non si capisce bene perché sia indispensabile la sua figura. Gli attori impegnati in quelle due opere sono tanti altri. Serve davvero anche il carrozzone della ricostruzione? Ne dubitiamo.

Oltretutto riporta in primo piano l'antica questione dell'Irpiniagate. Assurta nella mitologia popolare come il più imponente esempio di spreco del denaro pubblico. E che ha trasformato l'intera Irpinia nel buco nero dei fondi statali, la patria del parassitismo più sfrenato. Naturalmente la storia ha spiegato che non è esattamente così. E che quel mare di fondi piovuti nel dopo terremoto sono finiti in zone solo sfiorate dal sisma (Napoli), e nelle tasche di imprenditori del nord che si sono precipitati in Campania per aprire aziende farlocche, intascare i finanziamenti, e sparire subito dopo.

Resta da capire perché il Pd abbia votato contro la soppressione della struttura. Forse perché è un nostalgico ricordo del passato che fu, quando le risorse dello Stato venivano sì sprecate, ma assicuravano un consistente rientro clientelare?

O semplicemente – e sarebbe anche peggio – perché la proposta è arrivata dai Cinque Stelle?

Eppure la stessa cosa aveva tentato di farla un premier non certo vicino ai grillini, come Mario Monti.

Nel frattempo ci teniamo quel ferro vecchio. Giusto per dar voce ai soliti noti che danno aria alle prevedibili esternazioni contro il Sud parassita.

Non ne abbiamo bisogno. Nè del carrozzone, né dei consueti slogan antimeridionalisti.

Servirebbe voltare pagina. Una volta per tutte. E chiudere una pratica quasi archeologica come il terremoto del 1980.