Candidati irpini nel Pd tra caos e decisioni lasciate ad altri

Il commento. Inizia male la competizione regionale per il Partito Democratico avellinese

Solo per il fatto di aver dato vita ad un "caso", l'ennesimo che si registra alla vigilia di appuntamenti elettorali importanti, i vertici di via Tagliamento dovrebbero prendere in seria considerazione fare un passo indietro. Si rischia un altro flop

Avellino.  

Non sappiamo se il presidente del consiglio Matteo Renzi vedrà mai il filmato girato venerdì scorso ad Avellino durante l’assemblea provinciale del Pd. Ma una cosa è certa: quelle immagini che testimoniano il comportamento “sopra le righe” di molti componenti del partito non deporrebbero a favore né della corrente di maggioranza né di quella di minoranza. Entrambe hanno dato uno spettacolo poco edificante, a prescindere dalle ragioni, diametralmente opposte, che hanno scatenato quei toni così accesi e triviali.

Del resto, il fatto che sul “caso Avellino” si apra un’istruttoria con tanto di Commissione (della quale faranno parte Michele Grimaldi, Gino Cimmino e Nello Mastursi) e con l’intervento della segretaria regionale Assunta Tartaglione che registrerà i motivi del dissidio politico, non fa emergere una bella immagine del partito di via Tagliamento.

Oltre a consegnare l’inconsistenza di un segretario di parte che va avanti solo con la sua maggioranza, o comunque con quello che ne resta, senza tenere in debita considerazione anche le voci delle altre anime del Pd. Senza, in pratica, avviare neanche un dibattito, un confronto, un dialogo con chi la pensa in modo diverso e vuole rappresentare anche fuori dalla sede della federazione quelle posizioni che, magari, sono invece condivise da tanti militanti.

Eppure alla vigilia dell’assemblea provinciale, proprio Carmine De Blasio aveva affermato che le candidature dovevano rappresentare al meglio tutto il partito democratico e tutti i territori d’Irpinia. Essere aggreganti e non separare pezzi del Pd. Ma alla prova dei fatti, il metodo è apparso incongruente rispetto allo scopo annunciato.

Ora la palla, passa ad un organismo esterno e agli apparati del partito regionale e nazionale che, a breve, decideranno se ratificare la proposta presentata (Enzo De Luca, Beniamino Palmieri, Rosetta D'Amelio e Roberta Santaniello) o dare spazio a Todisco e/o Lengua. È questo, dunque, il risultato finale del conflitto interno che sta lacerando il Pd avellinese ormai da tempo: cedere ad altri una propria prerogativa. Il diritto di scegliere gli esponenti irpini da cui farsi rappresentare e amministrare.

A peggiorare la situazione, poi, il lavoro sotto traccia delle "diplomazie" delle singole correnti locali. Ognuna per perorare la sua causa. Un atteggiamento tipicamente meridionale che non guarda al quadro nel suo insieme ma rispecchia solo il motto “ognuno per sé e Dio…”.

Alessandro Calabrese