"Perché non morirà questa vita ultrà": ciao Francè

Emozioni, cori e lacrime per l'ultimo saluto a un figlio della Curva Sud

Avellino.  

Da dove si inizia a scrivere, dopo una giornata così? Quali sono le parole giuste per raccontare quello che ho visto, anzi che ho vissuto? Me lo sono chiesto lungo tutto il tragitto che mi ha portato dal “Partenio-Lombardi” alla redazione. Poche centinaia di metri, che oggi mi sono sembrati interminabili chilometri. Chilometri come quelli che Francesco Padiglione percorreva su e giù per l'Italia per sostenere il suo Avellino, il nostro Avellino. E allora, ho deciso: oggi lascio correre la penna e metto da parte il distacco e l'imparzialità che questa professione richiede. E ve la racconto con le mie emozioni da avellinese, da irpino, da tifoso dell'Avellino, da conoscente della famiglia Padiglione.

Quando ho appreso della notizia della prematura scomparsa di Francesco, mi è corso un brivido lungo la schiena: 31 anni. Uno solo in più di me. Non si può morire a questa età. Ma il destino alle volte è spietato, crudele. Preso dalla frenesia quotidiana, non ho subito ricordato e capito, quando ci è giunta la notizia della sua prematura scomparsa, chi fosse Francesco. Lo avevo conosciuto ai tempi della scuola calcio dell'U.S. Avellino, eravamo entrambi nella categoria Esordienti. Ricordo, di quei tempi, che Francesco era uno dei più forti. Non si diventa, in fondo, capitani per caso. A qualsiasi età. Ho impresso nei pensieri un fermo immagine: lui, con il borsone biancoverde adagiato sul marciapiede, in attesa dell'apertura del campo su cui ci allenavamo a Torrette di Mercogliano, aggrappato con tutte e due le mani su un palo della segnaletica stradale, sospeso in aria lateralmente. Era un tipo allegro, con un entusiasmo straripante. Per anni questo episodio mi è tornato in mente, proprio come ora. Mi sono sempre chiesto come riuscisse a fare quell'acrobazia, che per quanto mi sforzavo di imitare, non riuscivo a ripetere. Quella conoscenza, in ogni caso, è stata breve e fugace. Non ci siamo nemmeno mai presentati. Non ero bravo come lui e lasciai presto.

Molti anni dopo ho conosciuto Agostino, suo fratello, con cui ho condiviso tante serate rilassate e spensierate. Ma la vita corre veloce e i rapporti umani mutano in maniera spesso imprevedibile. E le strade mie e di Agostino si sono separate. L'ho rivisto e abbracciato poco fa. Nel posto dove non avrei mai immaginato mi capitasse di farlo: sull'erba del nostro “Partenio-Lombardi”, mentre aspettava, con la sua famiglia, il feretro di suo fratello. L'ho abbracciato e lui mi ha detto semplicemente: “Marco, è stata una cosa improvvisa, che non puoi immaginare. Il giorno prima c'era, quello dopo non c'era più”. Sorrideva, Agostino; cantava con i ragazzi della Curva Sud quei cori che erano iniziati all'esterno della chiesa della Santissima Trinità dei Poveri, in via Morelli e Silvati: “Perché non morirà, perché non finirà, questa vita ultrà”.

Oggi più che mai, guardando i visi bagnati dalle lacrime dei ragazzi della Sud, ho capito il significato di queste parole. E apprezzato il più nobile risvolto dello stile di vita e della mentalità ultras. Una solidarietà e uno spirito di fratellanza, che tanti perbenisti non avranno mai il piacere di vivere. Perché oggi c'è stato l'ultimo saluto al terzogenito della famiglia Padiglione, ma soprattutto a un figlio e ad un fratello della Curva Sud. Tutti insieme nella gioia, ma prima di tutto nel dolore. Un concetto che avevano sottolineato i tifosi della Casertana, ieri, esponendo uno striscione solidale all'esterno dello stadio “Pinto” tramutatosi in sostegno fisico con una delegazione di supporters rossoblu che ha preso parte alle esquie. Rossoblu come la corona di fiori da parte dei tifosi del Bologna. Gesti concreti che si sono sommati alla solidarietà, sul web, di tante tifoserie rivali sparse in giro per l'Italia. Perché di fronte alla morte non c'è colore o bandiera che tenga. “Un onore conoscerti, un dovere ricordarti...ciao Francesco” il messaggio impresso su centinaia di magliette biancoverdi che hanno seguito Francesco nel suo ultimo viaggio.

Che non poteva che concludersi lì, sotto la Sud. “Giro lo sguardo e sei al mio fianco, ultras è per sempre...ciao Francè” lo striscione apposto sulla balaustra della seconda casa di Francesco. Fuochi d'artificio, applausi e ancora cori. Non dimenticherò mai il bacio del nonno di Francesco alla bara di suo nipote. Ho visto le lacrime del papà e ho pensato, come ho ascoltato tempo fa in un film che ora non ho la forza di ricordare, che i padri non dovrebbero mai seppellire i loro figli. Ma poi ho pensato che in queste storie incredibili c'è un insegnamento: quello di non dimenticare di vivere la vita come l'ha vissuta Francesco: con vitalità, allegria. Sempre. Tutti lo ricordavano così, sul sagrato della chiesa: felice e innamorato pazzo del suo Avellino. Nonostante tutto. Nonostante le difficoltà e il dolore immenso, che Francesco, con i suoi cari, avevano dovuto affrontare dieci anni fa, quando venne a mancare la loro madre. “Ricominciamo”, come è risuonato prima di mettersi in viaggio verso lo stadio, ricominciare, non sarà facile sopratutto per la famiglia Padiglione. Ma ce la faranno. Ripartendo dalla compostezza e dalla dignità con cui hanno affrontato questa tragedia e da una certezza: quella di essere una famiglia che fa parte di un'altra grandissima famiglia. Immortale. Che non smetterà mai di sostenerli: si chiama Curva Sud. Quella Curva Sud che porterà per sempre nel cuore il ricordo di Francesco. “Perché non morirà, perché non finirà, questa vita ultrà”. Ciao Francè!

Marco Festa