Speciale 19-06-05. De Vito: «Quell'esperienza mi ha formato»

L'attuale direttore sportivo dei lupi allora era presidente e coordinatore del settore giovanile

Avellino.  

Il talento è, per definizione, l'inclinazione naturale di una persona a far bene una certa attività. Il talento di Enzo De Vito è avere lo sguardo proiettato avanti di anni ed anni. Sa intravedere come pochi le stimmate dei campioni; delle promesse; dei protagonisti del domani, che, da sempre, preferisce ai grandi nomi, spesso appagati e senza la fondamentale “fame”. Da quando è diventato direttore sportivo dell'Avellino ha contribuito a creare un parco giocatori che soltanto qualche anno fa era pura utopia; ha innescato, con il lavoro quotidiano, certosino e lungimirante, un circolo virtuoso, che, attraverso i risultati e la valorizzazione di tanti giovani, ha garantito al club presieduto da Walter Taccone una credibilità assoluta in sede di calciomercato. Le grandi, che prima titubavano, non ci pensano su due volte a mandare i propri gioiellini a farsi le ossa in Irpinia. 

E De Vito si gode risultati e plusvalenze al culmine di un percorso denso di soddisfazioni, iniziato dieci anni fa. Che in quell'Avellino - Napoli 2-1, di cui oggi si festeggia il decennale, raggiunse il suo apice. È l'unico supersite di quel gruppo vincente. In molti non lo ricorderanno, ma è proprio nell'annata che culminò con la promozione in Serie B, dopo la finale play off contro i partenopei, che De Vito iniziò a muovere i suoi primi passi da dirigente biancoverde: presidente e coordinatore di un settore giovanile, in cui, come oggi nella prima squadra, il segratario era Tommaso Aloisi e il responsabile, l'indimenticato Nando Del Gaudio. Berretti, Allievi e Giovanissimi volarono.

«Fu una cavalcata indimenticabile» - ricorda Enzo De Vito - «Nel finale di stagione il direttore sportivo, Pavarese e il presidente, Marco Pugliese, decisero di collocarmi al fianco della squadra come una sorta di team manager. È in quel momento che ho iniziato a capire cosa volesse dire fare calcio a certi livelli, quali erano le dinamiche all'interno di uno spogliatoio. Ho impresse nella mente la semifinale con la Reggiana e la finale con il Napoli. La promozione fu una gioia indescrivibile. L'anno successivo non trovai spazio in prima squadra, ma continuai a lavorare con grande passione ed impegno con i ragazzi. Portammo ad Avellino prospetti importanti, tra cui Campanella, Caso, Cucciniello, De Marco, Terracciano, Giorgione, Vitale, che poi hanno avuto ed hanno una carriera di tutti rispetto. Arrivammo, sia con la Primavera, allenata da Zichella, sia con i Giovanissimi, alle fasi finali. Solo la Roma, che poi si laureò Campione d'Italia, fermò la corsa della Primavera, che si tolse lo sfizio di battere squadre del calibro di Napoli e Lazio, ai quarti. Tra le fila dei giallorossi giocavano Curci, Cerci, Okaka e anche il nostro Arini». 

Dieci anni dopo, quella Serie B conquistata sul campo, ne ha fatta di strada De Vito. E chissà se, tra altri dieci anni, non si ritrovi a raccontare qualche altra grande, grandissima, impresa.

Marco Festa