Stadio, quella mano stesa in nome di quale città?

Benevento non merita una visione valvassina, gratis al "Vigorito" ci vadano 70 bisognosi veri

Benevento.  

 

di Federico Festa

C'è da chiedersi in nome di quale città l'amministrazione comunale rivendichi per sé settanta accrediti. E lo faccia adesso, dopo una resa incondizionata firmata appena a giugno, quando c'era da metter mano a un milione e mezzo di euro per trasformare il Vigorito in uno stadio da serie A.

C'è da chiedersi quale città o quale amministratore avrebbe atteso che questi lavori terminassero per tirare fuori la lista della lavandaia, come se i rapporti tra un Comune capoluogo e una società al top dei club in Italia potessero ridursi a sagra paesana.

Una visione valvassina della cosa pubblica abituata soltanto a prendere, a pretendere. Un modo un po' furbo un po' subdolo di affrontare le difficoltà, lasciando ad altri i problemi e rivendicando per sé la vetrina, la prima fila degli eventi.

Certo, la città di Benevento ha il diritto di vedere il proprio sindaco in prima fila allo stadio. E con lui i suoi ospiti, così come accade a Milano, Napoli o Firenze. Ma val la pena ricordare che il sindaco Sala, De Magistris o Nardella non lasciano i conti del Meazza o del San Paolo senza cura.

Il posto in prima fila viene dopo che si è chiarita la posizione della città che si amministra, usando le sedi opportune e i modi congrui, proprio perché ogni singolo cittadino non abbia alcuna cambiale in bianco da onorare e possa liberamente, senza alcun vincolo, tifare o criticare. Magari scegliendo che ad essere accreditati allo stadio siano quelli più sfortunati o deboli: settanta tra i più poveri, scelti dalla Caritas.

Cose che dovevano accadere cinque milioni di euro fa. 
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