«I Rom sono sedentari e vivono in un solo posto. I Sinti non stanno mai fermi, non hanno una residenza ma abitano un po’ ovunque». Nelle campagne del Sannio, la distinzione spiegata da Achille De Rosa, dei Rom di Pietrelcina, di fronte ad un vecchio registratore mantenuto da Antonietta Caroscio, quando ancora non era al vertice dell’Opera Nomadi campana, ma una semplice studentessa affascinata da quella etnia da anni presente in paese, era del tutto sconosciuta. Per i proprietari di bestiame, i contadini e semplici persone, quelli che oggi si distinguono in Rom e Sint erano per tutti chiamati zingari, con un’unica ed indiscutibile attitudine: domare e commerciare i cavalli. Quando un giovane zingaro, magro e scuro, domava un cavallo era come assistere ad una rodeo, senza sella e solo con le briglie, sul filo dell’equilibrio e nella polvere degli zoccoli. Alla fine aveva sempre la meglio lo zingaro. Contadini e proprietari di cavalli, nel Sannio, si rivolgevano a loro per poterli ammansire e montare. Quelli più conosciuti, che ancora oggi conservano le tradizioni, sono i Rom stanziati nei paesi di Pietrelcina e Paduli. La Loro economia si fondava sul cavalli, che acquistavano e vendevano nelle fiere.
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«Nel periodo di marzo, anni fa – racconta Achille De Rosa – quando c’erano le fiere nei paesi, prendevano un carretto ed un cavallo e portavano con sé mogli e figli. Arrivavano due o tre giorni prima e si accampavano. Armavano il tendone, stendevano la paglia, il lenzuolo e dormivano. Compravano i cavalli e poi ripartivano per un’altra fiera. Arrivati in un altro paese compravano altri animali o li commerciavano. Se, ad esempio, qualcuno in campagna aveva un cavallo difficile da domare, che scalciava, gliene davano uno già domato e nel caso si prendevano la differenza. La fonte di sopravvivenza era nel commercio dei cavalli. Ed erano tutti bravi addestratori».
a cura di Michele Intorcia