Pesce in montagna, patatine e Nutella: «Che sagre son queste?»

Nel Sannio solo una sessantina di sagre puntano a valorizzare il territorio

Benevento.  

 

Difficile stare in casa con la calura estiva: meglio cercare refrigerio o al mare o anche in paese, per chi non può raggiungere località balneari, tutto fuorché stare in casa. E allora nel Sannio per ravvivare le serate estive ecco la stagione delle sagre. Borghi meravigliosi ravvivati da tante persone in strada, luci, canti e anche ottimo cibo. Spesso, però, si esagera: ecco che tra le varie sagre che valorizzano borghi e prodotti tipici sanniti compaiono rassegne che hanno tutta l'aria di essere intruse. Si sa: ognuno vuol organizzare, ogni centro vuole intercettare turisti, emigranti che tornano nel Sannio per le ferie estive e cittadini dei comuni vicini, perciò più sagre si organizzano meglio è... ma è poi tanto vero?

Se da un lato ci sono tante sagre storiche con a tema prodotti realmente del territorio ecco che negli anni sono comparse anche sagre “singolari”: c'è chi organizza quella della pasta al salmone, seppur di salmoni che nuotano controcorrente tra Calore e Sabato non se ne vedano spessissimo, chi basa la rassegna su pesci e frutti di mare... magari però risultando membro di una comunità montana... mancano ancora le sagre del sushi e quella della renna, ma si confida che arrivino quando sarà dimostrato che emigranti sanniti hanno portato la tradizione di arrotolare riso e pesce nelle alghe, in Giappone, o di fare polpette in Svezia sostituendo il macinato di vitello e il ragù di pomodori, la domenica, con renna e lamponi.

Di fronte a questa esagerazione la Confimpresa di Benevento ha provato a prendere le contromisure: partendo dall'assunto che due sagre su tre, in Italia, sono “tarocche” e cioè non hanno alcuna attinenza coi territori in cui vengono svolte e coi loro prodotti, l'associazione, guidata dal presidente Rino De Girolamo e dal direttore Carlos Sorrentino ha deciso di avviare una sorta di censimento, in collaborazione col presidente provinciale delle Pro Loco, per salvaguardare le sagre buone.

E' stata definita “la guerra” della sagra, sebbene il direttore di Confimpresa Sorrentino a Ottopagine ha spiegato che: «In realtà noi non vogliamo fare guerra proprio a nessuno. La realtà è che molti nostri associati ci hanno chiesto di intervenire proprio su questo: non fa bene al territorio che in comuni di montagna vengano organizzate sagre sui frutti di mare, fa perdere credibilità e allontana turisti e avventuri. Ma questo non significa che vogliamo distruggere questi eventi: semplicemente vogliamo avviare un confronto con gli associati e con le istituzioni e chiedere soprattutto a queste ultime di non concedere più il patrocinio o i contributi a chi organizza sagre tarocche. Per carità questo non vuol dire che non devono più organizzarle: semplicemente organizzino quelle che sono delle feste, privatamente, pagando il suolo pubblico e tutti gli oneri che ci sono da pagare, senza parvenze di istituzionalità o di legami col territorio». Questo, secondo Sorrentino, perché va tutelata l'identità del territorio e dei suoi prodotti e soprattutto perché, in tempi di magra, bisogna difendere le sagre “buone” e per farlo bisogna sacrificare quelle che sono semplicemente feste: «Ci sono molte Pro Loco sul campo che lavorano bene, mirando a valorizzare i nostri prodotti: queste devono essere premiate e valorizzate».

Secondo l'organizzazione tra tutte le sagre che si svolgono nel Sannio solo una sessantina sono “sane”, le altre o non valorizzano il territorio o addirittura, secondo Rino De Girolamo mettono a rischio la salute dei consumatori: «non devono più trovare facilitazioni e addirittura sostegni economici tutte quelle iniziative che non valorizzano il territorio (dai produttori ai ristoratori) e che sono solo occasione di fare business (dai festival della Nutella a quelli delle patatine fritte, dalle sagre del pesce di mare in montagna alle feste dei motociclisti). Chi le vuole organizzare è libero di farlo, pagando però gli oneri per l'utilizzo degli spazi pubblici, sottoponendosi a tutti i controlli che valgono per gli esercenti e utilizzando personale preparato e non volontari».  

Cristiano Vella