«La Campania? Tra un po' sarà come il Sahara»

Oltre il trenta per cento del territorio della nostra regione è a rischio desertificazione

Benevento.  

Agricoltura, coltivazioni, allevamenti. Elementi chiave per il sud, e il particolare per la Campania, per il suo tessuto economico e sociale. Si, perché in un territorio fortemente agricolo, come quello campano, spesso trascurato per la corsa all'industrializzazione selvaggia, l'agricoltura, la biodiversità, i prodotti della terra sono una risorsa inestimabile. Basta guardare ai dati: in un periodo di crisi fortissima ciò che ha retto, in particolare nelle aree interne, è l'agricoltura, l'export di prodotti tipici e di qualità. Fattori a rischio però, a forte rischio.

Già perché stavolta la minaccia non arriva da veri e propri attentati come quello accaduto nella zona ormai tristemente nota come “Terra dei fuochi”. No, è il clima e i cambiamenti provocati, ancora una volta, dall'uomo, a minacciare la ricchezza naturale di Campania e aree interne. Si era parlato spesso, in particolare dopo la diffusione dei dati Svimez, di aree interne come a forte rischio di “desertificazione”. Desertificazione che però, in quel caso, era da intendersi come industriale: imprese che scappano, così come la manodopera, lasciando un territorio vecchissimo dal punto di vista anagrafico e a crescita e natalità zero o sotto zero. Stavolta però il rischio è che la desertificazione non sia solo metaforica: secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche, infatti, metà del territorio italiano rischia di trasformarsi in un grande Sahara. E di questa metà, ben il 41 per cento è a sud. Quadro abbastanza problematico in Campania: nella nostra regione più del 30 per cento del territorio è a rischio desertificazione.

E il futuro, se non si interviene, potrebbe essere ancora più fosco: entro la fine di questo secolo le previsioni del Cnr parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni, soprattutto estive: l'unione di questi due fattori genererà forte aridità. Paradossalmente, mentre per mitigare i cambiamenti climatici sarebbe sufficiente cambiare in tempo la nostra politica energetica, per arrestare la desertificazione questo non sarà sufficiente, poiché il fenomeno è legato anche alla cattiva gestione del territorio Le conseguenze di quest’inadeguata gestione – secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche - sono sintetizzate nella espressione inglese Dust bowlification, da dust, polvere, ebowl, conca.

È un concetto differente dalla desertificazione, giacché anche i più estremi deserti sono comunque degli ecosistemi (le aree aride includono il 20% dei centri di biodiversità e il 30% dell’avifauna endemica), mentre le conche di polvere sono un punto di non ritorno.
Punto di non ritorno che si tramuterebbe nella distruzione dell'ecosistema, e in una emigrazione che, se ora è già consistente dal punto di vista numerico e per via di fattori prettamente economici, in futuro sarà ancora più forte, nella ricerca di aree più ospitali. Servirebbero approfondimenti seri dunque, che vadano addirittura oltre le contromisure sulle politiche energetiche: il rischio è il deserto

Cristiano Vella