Don Pettenuzzo: "cacciamo la camorra attraverso i giovani"

Il parroco di Paupisi riflette sul caso di Bonea e sulla funzione della formazione

Benevento.  

“Don Angelo Borselli, parroco a Forcella dove la camorra comanda, ha dichiarato provocatoriamente in un’intervista: “Quando mi dicono sei un prete anti-camorra, io rispondo scherzando: Vi sbagliate, io sono per la camorra. Da queste parti è la sola cosa che funziona”. Da queste semplici parole di don Angelo capiamo, come lui vuole d’altronde dire, che la camorra si prende cura delle famiglie, di chi non lavora e dei giovani: e ancor più, dei suoi affiliati e dei loro cari (quando qualcuno di questi finisce in galera)”.
Parte da qui per una riflessione legata al recente attentato ai danni del sindaco di Bonea, Don Raffaele Pettenuzzo, parroco di Paupisi e prosegue “La scaltrezza dei camorristi è che conoscono molto bene i mezzi per agire e per comandare attraverso la corruzione e l’illegalità: i soldi per poter vivere, la possibilità di un lavoro e l’opportunità di poter mantenere una famiglia; quando invece questi mezzi dovrebbero essere onestamente e democraticamente nelle mani di tutti coloro che, ad esempio, abitano nel Sannio. Cosa fare, in relazione anche all’ultimo attentato di questi giorni a Bonea? È sufficiente denunciare, oppure bisogna anche e soprattutto agire. Ma come? Dando milioni di euro per dei progetti che creino lavoro? Può essere anche possibile. Ma una domanda sorge spontanea, se con i soldi statali creiamo strutture e infrastrutture, o per così dire “muri, tetti, strade, case…”, chi si occupa di tutto questo, se le persone che se ne impossessano non sono formate umanamente, cioè, moralmente e professionalmente, affinché quella struttura o quella infrastruttura costruite non cadono nel niente e nell’inadempienza (si vedano alcuni nostri ospedali o aziende)? Il problema, dunque, non è solo legato al finanziamento dei vari progetti (anche perché si sa che la camorra con i finanziamenti locali di progetti e di opere ci va a nozze), ma se si vuole “buttare fuori dal Sannio” la pesante infiltrazione della camorra di questi ultimi anni di devastante crisi economica, “bisogna pensare ai mezzi” che la possono sconfiggere. E i mezzi sono le persone; in particolare, i giovani. “I giovani” è una parola che tutti usano, ma a cui pochi pensano per dar loro “la possibilità di crearsi un avvenire” in cui possano difendere la loro dignità e realizzare il loro essere uomini. Mi spiego con un esempio. Nei Seminari in Campania i giovani aspiranti preti studiano tante cose di teologia, ma niente che possa riguardare la camorra e che però li riguarderà da parroci quale realtà illogica, subdola, prepotente, violenta e sanguinaria. Cosa voglio dire? Voglio dire che “prima di fare un idraulico o un medico” bisogna “formare l’uomo”. In che modo? Semplicemente ma faticosamente: educando e formando i giovani ad avere relazioni con se stessi e con gli altri “moralmente oneste” ed educando e formando “a essere ben capaci di fare il proprio mestiere” (per non avere un idraulico che ti mette delle tubature che poi ti perdono acqua e per non uscire in fin di vita da una semplice operazione). Chiediamoci: come è possibile che nelle Parrocchie e nelle Scuole non si formi all’onestà e si lasci spazio a chi è più abile nei sotterfugi, nelle scappatoie e negli espedienti? Non può essere questo nel Sannio “un modo rinunciatario” o dei luoghi per diseducare e per non formare in cui la camorra può impiantarsi e prolificare?”.