Le verità di D'Agostino

"Ho pagato per tutti non aver vinto il campionato. Dopo il Messina non c'è stato più posto per me"

Benevento.  

Gaetano D’Agostino se l’era immaginata diversa la sua avventura nel Sannio. Prima di vestire la maglia giallorossa aveva provato a smaltire la ‘catastrofe’ di Siena rifugiandosi nei dilettanti. Certo, era stata una serie D a vincere con l’Andria, ma pur sempre una categoria lontana anni luce dai clamori del gran calcio. Ma chi è stato in serie A non dura molto lontano dai riflettori e se ne ha ancora, prima o poi, ci riprova. Così quando arrivò il Benevento non ci pensò su due volte e accettò. “E non posso certo dire di essere stato male, ottima gente, un grande presidente. E poi qui ad aprile è nato Mathias, l’ultimo arrivato in casa D’Agostino. Non credo che potrò mai dimenticare questa città”. Parole sincere, come è abituato a pronunciare. Nel bene e nel male. Gaetano non è tipo da dichiarazioni accomodanti. Per esempio non gli è andata giù chiudere la stagione in panchina: si sentiva bene, era sembrato tra i migliori nell’allenamento del venerdì prima della sfida col Como, avrebbe voluto dare il suo contributo. Quella scelta non l’ha accettata: “Qualcuno doveva pagare che non s’era vinto il campionato, l’hanno fatta pagare a me. Col Messina avevamo giocato un buon primo tempo, sono uscito per permettere di fare minutaggio anche agli altri e non sono più entrato in squadra. Perché? Mah, scelte tecniche. E mi fermo qui”. La pellicola del campionato si riavvolge in fretta. Fino ad aprile tutto era filato per il verso giusto, poi è arrivato il ‘marzo nero’: Barletta, Salernitana, Aversa, due punti in tre partite e sorpasso in classifica da parte dei granata. “A Salerno forse abbiamo pagato il fattore pubblico, qualcuno di noi ha sentito troppo la partita. Loro hanno giocato meglio, noi per nulla. Però abbiamo avuto l’occasione per poter pareggiare subito, poi è arrivato l’errore del secondo gol ed è stata notte fonda: episodi assolutamente negativi. Barletta e Aversa le abbiamo sbagliate noi, ma è difficile esaminare delle partite così, quando c’è tanta amarezza”.

I moduli. Tutti si aspettavano un D’Agostino che potesse fare la differenza, invece qualcosa non è andata come doveva: “Il mister utilizzava il 4-4-2, non avrebbe potuto inventarsi improvvisamene il 4-3-3 solo perché ero arrivato io. Non lo nascondo, il 4-4-2 l’ho un po’ sofferto per quelle che sono le mie caratteristiche, tra l’altro in Lega Pro è tutto “campanili” e palloni gettati avanti. Io mi sono impegnato tantissimo, ma non mi si può dire di fare il regista nel 4-4-2. Da qualche parte ho letto che l’unico che non correva ero io. E questo non posso accettarlo: ho avuto difficoltà, ma non si può dire che non correvo. Piuttosto diciamo che non sono mai stato messo nelle condizioni ottimali per poter fare il mio gioco. Le critiche le ho sempre accettate, ma non ho mai giocato davvero nel mio ruolo. Una sola volta stavo giocando secondo le mie caratteristiche, contro il Messina. Ma al 50’ mister Cinelli mi ha tirato fuori per far posto ad altri e da quel momento non ho più giocato un solo minuto. Per volere di chi? Io un’idea ce l’ho, ma la tengo per me, perché in fondo fino al 30 giugno sono ancora un giocatore del Benevento”.

Il “j’accuse”. “Di bocconi amari ne ho ingoiati tanti nella mia carriera, ma quando vedo delle ingiustizie non le sopporto. Amo Benevento, mi ha fatto tornare nei professionisti, sono convinto che ci sia un pubblico che capisce di calcio, così come ci siano giornalisti che ne capiscano. Ma ce ne sono anche tanti che scrivono tanto per scrivere. C’è qualcuno che ha sempre inveito, senza che si facesse mai una disamina tecnico-tattica. Se fossimo andati in B, ci sarebbero andati anche loro. Invece quando si perdeva tutti a massacrare: non funziona così, bisogna avere la voglia di vincere tutti insieme. Abbiamo le colpe principali perché siamo noi ad andare in campo, ma l’ambiente non ci deve essere ostile”.  Tra D’Agostino e parte dello staff tecnico non sembra esserci stato molto feeling: “Bè, arriva uno che ha fatto la serie A, un consiglio per come andare avanti e come migliorare glielo avrebbero potuto anche chiedere. Invece mai chiesto un parere, mai un consiglio. A me come ad Allegretti, per esempio”.

Play off col Como. E’ finita male, come peggio non si poteva. Quel 17 maggio non riesce ancora a cancellarlo dalla mente. “Quella partita non la dimenticherò mai. Però vorrei dimenticarla. Non riesco a pensare come si fa a prendere due gol così. Loro sono scesi in campo e l’unica preoccupazione era quella di non prendere 3 o 4 gol. Noi invece siamo andati sul terreno già sudati e con l’ansia di non farcela. Le partite bisogna affrontarle diversamente: il calcio è divertimento, è una parte della nostra vita, non la vita”.

Brini e i 76 punti. “Abbiamo fatto tutti i record possibili, ma alla fine la Salernitana è stata più forte di noi. 76 punti sono davvero tanti. Ma non siamo riusciti a fare quello che ci aveva chiesto la società. E’ amaro. Brini? Per lui mi è dispiaciuto, lo ricorderò sempre con grande affetto. Giuste o sbagliate che fossero ha fatto sempre le scelte per il bene della squadra, mai ascoltando quello che si diceva fuori. Avrà sbagliato qualche volta, ma qualunque cosa è stata sempre in funzione del bene della squadra”.

Franco Santo