L'addio sannita a don Domenico Miraglia

Questo pomeriggio alle 15.30 in cattedrale i funerali

Benevento.  

Con la morte di don Domenico Miraglia scompare un pezzo di storia del calcio beneventano. Non è solo la Forza e Coraggio oggi a sentirsi orfana del suo padre fondatore, ma tutto quel ‘calcio minore’ sannita che per lo storico parroco di San Donato era il modo migliore per allontanare i giovani dai pericoli della strada. Aveva 77 anni e il cuore giovane don Domenico, e come tutti i preti impegnati in prima linea lasciava da parte i convenevoli e sposava la praticità. Si possono avvicinare tanti giovani alla fede anche saltando a piè pari qualche stereotipo un po’ retrò, lui spesso lo faceva, ma senza mai perdere di vista la sua missione pastorale. Giovane tra i giovani, solo così si può entrare nelle menti di quei ragazzi un po’ scapestrati che ci metterebbero due minuti per prendere la strada sbagliata. Nacque così la sua creatura forse più amata, la Forza e Coraggio. Anno di grazia 1972, 43 anni di amore per un’idea oltre che per quello sport che aveva amato da sempre. “La forza del gruppo, il coraggio di crederci sempre”, un motto che già di per sé è una lezione di vita. Fondò quella polisportiva insieme a quello che considerava un fratello e che per tutti questi anni lo ha affiancato in ogni iniziativa, Cosimo Falda. Prima iscrizione al Csi, nessuna velleità di vittoria, anche se quei ragazzi che vestivano la prima maglietta della Parrochia erano davvero bravi. La sua prima vittoria era stata proprio quella di vedere quei ragazzi difficili, organizzarsi, fare gruppo e forgiarsi all’insegna dei valori dello sport. Una decina d’anni di Csi e arriva la voglia di cimentarsi con i campionati Figc, quelli veri, quelli competitivi. Non cambia il motivo di fare sport, cambiano solo gli avversari. C’era Ciro Mauro ad allenare quella prima squadra che si affacciava nel mondo del calcio vero: “Incontrare don Domenico è stata una delle cose più belle della mia vita. Se ho avuto qualcosa dal calcio lo devo essenzialmente a lui. L’altra persona speciale della mia vita nel calcio è Massimo Taddeo”. Già, il presidentissimo che alla Forza e Coraggio fa spiccare il salto fino a traguardi impensati. Don Domenico la sua creatura non l’aveva mai abbandonata, la vedeva cresciuta e gioiva con essa, come si fa con un figlio che raggiunge nella vita fama e gloria. Mauro lo ricorda insieme ai compagni di sempre, i fratelli Lauro, Montefusco, Cardone, Bagnoli. Don Domenico non era solo il parroco di quella chiesetta a ridosso del Triggio, era tanto di più: “Era una persona speciale, mi verrebbe di paragonarlo a Papa Francesco. Ecco, lui non diceva mai di no a nessuno, era sempre disponibile, si faceva in quattro per risolvere un problema. Per scherzare dicevamo che casa sua era la casa del buon Gesù. Tutti vi potevano trovare rifugio”. Il Coni di Benevento qualche anno fa lo insignì della “Stella al merito sportivo”, una onorificenza che lo rese felice più per quello che aveva fatto nell’ambito sociale che in quello sportivo. Lo aveva definito il Coni: “Un religioso che ha portato Cristo tra i giovani, predicando sport puro, leale e coraggioso”. Un esempio di bontà e di generosità per una vita fatta di slanci di amore verso il prossimo. I suoi ragazzi, quelli che oggi hanno qualche capello bianco e figli da crescere, lo hanno vegliato in maniera discreta nel suo ultimo viaggio terreno. Oggi, in Cattedrale, gli daranno l’ultimo affranto saluto.