S'impicca in carcere: poliziotto penitenziario in fin di vita

A. F. di origini campane lotta tra la vita e la morte: ha tentato di farla finita nel carcere

Lotta tra la vita e la morte all’Ospedale Filippo Neri di Roma  A.F.,  Assistente Capo di Polizia Penitenziaria di 42 anni originario della Campania ed in servizio al Carcere minorile Casal del Marmo di Roma.

Sgomento Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE: “L’uomo, celibe, era assente dal servizio da diversi mesi per una patologia psicologica ma vive in Caserma. Gli era stata ritirata la pistola, ma questo non ha impedito che mettesse in atto il tragico gesto. Si è infatti impiccato con una cinghia in bagno”.

Attonito Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE: “Sono davvero sgomento. Dall’inizio dell’anno sono stati ben 6 i poliziotti penitenziari che si sono tolti la vita. Dal 2000 ad oggi oltre cento sono stati i casi di suicidio nel Corpo di Polizia e dell’Amministrazione penitenziaria. Non sappiamo le ragioni del tragico gesto del collega, che speriamo possa salvarsi. Certo è che è luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette “professioni di aiuto”, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle specificità del gruppo di appartenenza. Il riferimento è, ad esempio, a tutti coloro che nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza spesso si ritrovano soli con i loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi e ad occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia maltrattata ovvero tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno, soprattutto, di un aiuto immediato sulla strada per sopravvivere”.

“L’Amministrazione Penitenziaria e quella della Giustizia Minorile non possono continuare a tergiversare su questa drammatica realtà”, conclude Capece. “Non si può pensare di lavarsi la coscienza istituendo un numero di telefono – peraltro di Roma – che può essere contattato da chi, in tutta Italia, si viene a trovare in una situazione personale di particolare disagio. Servono soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del Personale di Polizia Penitenziaria. Come anche hanno evidenziato autorevoli esperti del settore, è necessario strutturare un’apposita direzione medica della Polizia Penitenziaria, composta da medici e da psicologi impegnati a tutelare e promuovere la salute di tutti i dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria e della Giustizia Minorile. Ora ci auguriamo tutti che il collega del carcere minorile di Casal del Marmo a Roma si possa salvare. Ma non mettere in atto immediate strategie di contrasto del disagio che vivono appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria è colpevolmente da irresponsabili”.