A Scampia e Miano c'è chi combatte per i Rom: sono fratelli

Cittadini si oppongono allo sgombero delle famiglie rom. E ai messaggi razzisti. Video e foto.

(Clicca sulla foto in alto e guarda il video) Associazioni e cittadini si oppongono allo spostamento delle seicento famiglie rom, dopo l'incendio del campo che le ospitava.

Napoli.  

 

di Andrea Fantucchio 

Un quadrato di strade, lì si gioca la partita più importante per l'Occidente civilizzato. La più importante negli ultimi cinquant'anni. Da un lato i figli della globalizzazione, dell'accoglienza come condizione imprescindibile per affrontare le moderne dinamiche economiche e sociali di un mondo che fa i conti con le migrazioni di massa, dall'altro gli estremisti del “questa è casa nostra” e molti figli della miseria che vedono nello straniero, fosse pure il vicino che da trent'anni abita lo stesso quartiere, il nemico da abbattere a tutti i costi, simbolo della paura dell'ignoto. (Venerdì alle 21.30 tutte le interviste nella trasmissione di approfondimento di Ottochannel canale 696, "La Linea" di Rossella Strianese. Clicca sulla foto di copertina e guarda il video. A fine articolo le foto).

Il quadrato di strade è quello fra Miano e Scampia. Una squadra, quella degli estremisti, l'abbiamo già vista all'opera: con le manifestazioni di piazza e i manifesti anonimi contro il trasferimento delle famiglie rom nella caserma Boscariello di Miano.

Trasferimento temporaneo reso necessario dallo sgombero forzato del campo Rom via Cupa Perillo, devastato da un incendio a fine agosto, alla vigilia dell'incontro al Viminale per discutere proprio lo sgombero dei campi rom.

Un messaggio diverso

Ieri anche l'altra Scampia e l'altra Miano hanno deciso di farsi sentire. Si sono riuniti al centro Gridas. Diverse centinaia di cittadini fra associazioni e liberi residenti.

Arriviamo intorno alle 18. Il cortile di fronte al centro è già gremito. Delle donne rom guardano la nostra telecamera, sono diffidenti.

Il gesuita guerriero

Un anziano, leggermente ingobbito dagli anni, traditi anche dalle profonde rughe, attira la nostra attenzione. Ha lo sguardo attento e penetrante.

Questo uomo minuto di un metro e cinquanta è in realtà uno degli più strenui sostenitori della causa rom. Si tratta di Domenico Pizzuti, che si presenterà semplicemente come, “un gesuita”. Guai a chiamarlo parroco.

Quando parla alla telecamera è un fiume in piena reso ulteriormente agitato da una gestualità decisa e molto teatrale.

«L’incendio di Cupa Perillo – ci dice - è l’indicatore di un modo barbaro di risolvere i problemi cacciando le persone. Non è un fatto contingente, ma la manovra di alcuni per affrettare il provvedimento di sgombero partito in seguito al sequestro della magistratura. A questo episodio di intimidazione, ne sono seguiti altri. Qualche giorno fa ero col comitato “Abitare Cupa Perillo”, quando ci hanno raggiunto dei giovani sui motorini minacciando di incendiare tutto. Si tratta della manovalanza di che ha fatto di questa lotta intestina al tessuto sociale di Scampia e Miano, un modo per conquistare consenso. Da questa strumentalizzazione non si salva nessuno. Certo c'è di mezzo l'estrema destra, ma anche il Pd che si mobilita per lo “ius soli” e poi caccia da qui Rom che abitano a Scampia da trent'anni».

«Se non vengono bloccate queste dinamiche di violenza ed esclusione – continua - si rischia di vanificare tutto il lavoro fatto in questi anni. Il problema è la parola “cacciare”. Il Vaticano in una recente lettera invita ad accogliere i moderni pellegrini. Bisogna fare un’azione pubblica per dar spazio all’ altra informazione che si opponga a quella manipolata che fa appello ai bassi istinti di tanti cittadini profondamente segnati dalla miseria. E quindi pronti a scagliarsi contro i più sfortunati, additandoli come la causa delle proprie sventure. Ci sono giornali che scrivono: Scampia e Miano non vogliono i rom. Non è così».

Chi rom... chi no”

L'incontro sta per iniziare. Quando entriamo nell'auditorium ci sono già circa trecento persone. Fatichiamo a farci spazio.

Poi Barbara Pierro del comitato «Chi rom... chi no» apre l'assemblea. E presenta un manifesto di risposta a quelli razzisti comparsi per opporsi al trasferimento dei rom nella caserma Boscariello. Un documento sottoscritto da chi difende la causa dei residenti rom dei quartieri napoletani, oltre seicento famiglie che abitano questi luoghi da trent'anni. Che hanno visto nascere qui i propri figli che ora vanno a scuola come gli altri bambini e che presto si troveranno trasferiti in una tendopoli allestita nella caserma di Miano. E poi chissà dove.

I manifesti dovrebbero anticipare un corteo, un concerto e delle attività sportive e ricreative che daranno sostegno alla causa rom.

Sentito l'intervento della consigliera di municipalità, Maria de Marco, che invita a: «: Fare uno sforzo quotidiano per sradicare il razzismo diffuso in certi ambienti. In questi mesi abbiamo assistito a diverse strumentalizzazioni. A partire dall'inquinamento prodotto dai roghi, indicati come principali cause di tumori, e poi addebitato ai rom. E non si attaccano i veri protagonisti di questi gesti criminali a partire dalle associazioni malavitose».

Pensiero condiviso anche da Barbara Pierro.

«Il clima che si respira – dice - non è dei migliori. Nonostante chi soffia sul vento del razzismo, Scampia è un laboratorio di associazionismo e inclusione che parte dal basso. Eppure è raccontata come il territorio della disgregazione umana e sociale e che invece offre anche una narrazione differente. C’è un gruppo di persone fatto di associazioni e privati che dice “i rom sono di questo territorio”. Parliamo di seicento persone delle quali il 30per cento sono cittadini italiani con diritti da cittadini italiani. Molti di loro sono inseriti nel tessuto lavorativo».

«Per queste persone – continua – è necessario trovare una destinazione definitiva Le emergenze non favoriscono questi progetti di collaborazione, ma i cittadini napoletani e le comunità rom sono presenti. Stiamo chiamando l’amministrazione. Anche i rom vogliono che il trasferimento nella caserma. Nessuno vuole vivere in una tendopoli. Soprattutto famiglie con bambini. Tutto quello che succederà dopo dicembre sarà conseguenza di quello che costruiremo oggi».

Guerra fra poveri che non giova a nessuno

La risposta a chi vede nei rom e negli stranieri in genere la causa della disoccupazione diffusa arriva proprio da un disoccupato, Giovanni Pagano del movimento di lotta “disoccupati 7 novembre”.

Pagano dice:«Siamo qui a sostegno della causa rom e contro la retorica razzista che vuole addossare proprio agli ultimi, come i rom, le cause di problematiche come la disoccupazione. Disoccupazione che, come ben sappiamo, non dipende certo dagli ultimi che stanno spesso peggio di noi. Ii personaggi che oggi lanciano presidi a Napoli non sono nuovi a episodi di violenza. Noi che conosciamo il territorio e siamo cresciuti fianco a fianco con cittadini stranieri come i rom li difenderemo. L’unica soluzione a quello che sta accadendo è il protagonismo dei cittadini che devono spendersi per il proprio territorio. La Campania è l’unica regione che ha avuto i finanziamenti europei per la questione abitativa. Ci vogliono far credere che i soldi non ci sono, in realtà salvano le banche in una notte. La nostra disoccupazione non è colpa dei rom ma di trent’anni di cattiva politica, di manager che prendono stipendi da capogiro e degli sprechi diffusi fra la sanità e gli uffici pubblici».

Il discorso di una madre

Mentre stiamo per andar vita scorgiamo il volto di Antonella Leardi, mamma di Ciro Esposito. Si siede un attimo per riprendersi dall'intervento in sala e poi si rivolge alla nostra telecamera, con l'energia di sempre: «Le lotte si combattono con l'amore. Non serve a nessuno la guerra da poveri. In questo quartiere ci sono tante persone che vivono in condizioni disastrose come i fratelli Rom. Il razzismo e il fascismo, gli estremismi in genere, non servono a nessuno. Mio figlio è stato ucciso perché napoletano. Non vorrei che da questa storia possa farsi male qualcuno, i rom li teniamo qui da quarant'anni e anche loro sono abitanti del quartiere. Molti dei ragazzi rom sono cresciuti con i miei figli, tutto il popolo si dovrebbe unire per chiedere a istituzioni spesso assenti di intervenire. E non farsi la guerra fra poveri. La violenza e l'odio non portano da nessuna parte».