Trump e fronte del No: schiaffo alla dittatura della finanza

Un voto contro l'establishment. Somiglia al no di tanti al referendum.

Che è un no a prescindere. Un no che soffia anche in tutta Europa. Con la stessa forza. Alimentato da quella crisi economica in gran parte provocata dalla stessa finanza.

di Luciano Trapanese

Ci siamo addormentati con la Clinton e svegliati con Trump. Non proprio il massimo. Sia prima che dopo.

E' un voto che ci riguarda. Non tanto perché Donald il rosso avrà influenze dirette sulla nostra esistenza, ma perché conferma un trend che è comune a tutto l'Occidente: gli elettori sono stufi dell'attuale establishment. La profonda crisi economica – che non accenna a finire – ha dato un colpo letale alle nostre certezze. Si è trasformata in crisi sociale e culturale. I valori fondanti delle democrazie occidentali sono andati in frantumi. O meglio, sono stati messi in discussione da una larga parte della popolazione.

E non accade solo negli Usa. Lo conferma il voto sulla Brexit, ma non solo. Le prossime elezioni in Francia saranno vinte – probabilmente – dal Fronte Nazionale della signora Le Pen. L'effetto Podemos in Spagna e i 5Stelle in Italia sono figli dello stesso sentimento. Così come la poderosa avanzata dell'estrema destra in Germania, Danimarca, Austria, Olanda e in buona parte dei paesi Scandinavi. In fondo anche Tsipras in Grecia è una analoga risposta.

Un sentimento che lega anche molti sostenitori del No al prossimo referendum per le riforme costituzionali in Italia. Un No a prescindere, contro un governo che rappresenta la continuazione di una politica sottomessa alle leggi della finanza. Un No che va al di là delle ragioni stesse del referendum. E poco importa se nello stesso schieramento – quello del No - si trovano anche esponenti che con quell'establishment hanno avuto e hanno un rapporto strettissimo.

E' un vento che soffia su tutto l'Occidente. La crisi è stata innescata dai mutui sub prime americani (e molti continuano a chiedersi: che c'entrano con il mio lavoro?): hanno poi alimentato quell'incendio che ha devastato le economie occidentali. Soprattutto quelle – la nostra in primis - dove il crack ha reso insostenibile un debito pubblico alimentato da decenni di sprechi, corruzione, connivenza con le mafie e miliardi gettati al vento. Tutti soldi utilizzati come merce di scambio clientelare, e che hanno convinto un Paese in difficoltà di poter vivere molto al di sopra delle sue reali possibilità. Distruggendo così ogni chance di futuro per le nuove generazioni e suscitando incertezze e paure in una classe media ormai in perenne stato di necessità.

Trump dunque è solo l'ultimo No - degli elettori - alla dittatura della finanza. E il crollo dei mercati di queste ore lo dimostra. Trump non è la soluzione. Ma la risposta. Così come la Brexit e i movimenti che in mezza Europa stanno scardinando dalle fondamenta anche le democrazie più stabili.

Ed è un passaggio così evidente che suscita almeno perplessità l'inazione dei governi, a partire dall'Unione europea. L'incapacità di comprendere che la globalizzazione – intesa solo come business -, non ha portato benessere, ma creato una instabilità perenne. Prosciugato valori e messo in discussione l'essenza stessa della democrazia. Ridotta a puro esercizio di stile, gestita com'è non da rappresentanti eletti dal popolo ma dai saliscendi della finanza mondiale.