Referendum, la resa dei conti. Ma hanno vinto solo i 5Stelle

Renzi addio. Esulta la minoranza Pd: ma è una tafazzata. Centrodestra spaccato.

E' arrivata a compimento la disintegrazione dei partiti. La vittoria è di Grillo. Nel breve e medio termine il Movimento 5Stelle potrebbe andare al governo.

di Luciano Trapanese

Ora siamo alla resa dei conti. Era prevedibile, quasi scontato. Come prevedibile – i sondaggi questa volta non hanno sbagliato – è stata la vittoria del No.

Forse pochi si aspettavano che fosse così netta, schiacciante, definitiva. Ma i dubbi erano pochi. Alimentati, probabilmente, solo dai fanatici del complottismo (ci mancavano le matite), e dagli onnipresenti “poteri forti” (così forti che perdono sempre...).

Renzi è uscito di scena con un discorso di grande dignità. Ha ammesso la sconfitta e si è fatto da parte. Proprio come aveva annunciato. Non tornerà, non subito. Non commetterà l'errore di farsi rosolare a fuoco lento per un anno intero, fino alle prossime elezioni politiche.

Ha commesso molti errori. La personalizzazione del referendum è stato l'ultimo. E scelte politiche in gran parte simili a chi l'ha preceduto (mancette, promesse, propaganda continua). Si è fidato troppo di sé stesso, restando impantanato nel trappolone referendario. Solo contro tutti. Solo, soprattutto, contro parte del Pd.

Ieri era paradossale il sorriso divertito di D'Alema e la gioia di Speranza, contrapposti all'amarezza del leader del loro partito. La classica tafazzata di sinistra. Da quelle parti sono rimaste solo macerie, con il rischio più che concreto di una guerra tra bande. La campagna referendaria è stata troppo violenta, estrema, per pensare di ricucire qualcosa. Non è uno strappo. Ma una lacerazione profonda. Qualcuno resterà con il cerino in mano. E non sarà Renzi.

L'esultante centrodestra immagina di ricostruire intorno alla campagna referendaria, un fronte comune. Ma in quel campo l'unico che può cantare vittoria è Matteo Salvini. Non proprio un personaggio aggregante. E soprattutto inviso a buona parte di Forza Italia.

Chi ha vinto davvero è il Movimento 5Stelle. Le basi sono solide per una scalata al potere nel breve o medio termine. Dipenderà dalla legge elettorale. Non hanno fretta: i partiti tradizionali sono implosi. Una disgregazione iniziata da tanto, ma che è arrivata alle battute conclusive.

Il No non è stato solo un No alla riforma. Questo è chiaro. Ma a chi rappresenta l'establishment. In questo c'è un rapporto con la Brexit e la vittoria di Trump. Ma un establishment viene presto sostituito da un altro. E non è detto che la disastrata classe media incazzata ne tragga benefici.

A Roma la Raggi e i Cinque Stelle governano da sei mesi. E non hanno fatto molto, se non ricordare la catastrofe finanziaria che hanno ereditato. Se alla guida del Paese ricorreranno allo stesso schema, non gli verrà perdonato (hanno alimentato attese, si pretenderanno risposte).

La situazione è grave (e non sarebbe stata di molto diversa anche con una vittoria del Sì, è chiaro). Lo stallo non sarà dettato dalle mancate riforme, ma dal clima di guerriglia che la campagna elettorale ha generato. E in questo clima raggiungere un accordo per una legge elettorale che sia razionale e capace di mettere d'accordo tutti sembra almeno difficile.

In Campania – come in tutto il Sud - la sconfitta del Sì ha assunto proporzioni clamorose. Una vera debacle. Non sono bastate le 18 visite del premier, gli accordi e i fondi elargiti dal governo. E neppure l'impegno – fin troppo scoperto – del presidente della Regione. Lo scontento è forte: il No è stato soprattutto un no a Renzi. Un no urlato da chi non ha più certezze per il presente e speranze per il futuro.

C'è una maggioranza del Paese che lancia segnali precisi da tanto. Ma i partiti – chiusi nella loro perenne autoreferenzialità – non li hanno colti. C'è riuscito il movimento di Grillo. Questo è un merito. Ma da solo non basta. Non può bastare. E forse non basterà.

E infine. Ancora una volta la direzione che avrebbe preso il voto è stata evidente sin dall'inizio sui social. I post a favore del no erano larga maggioranza. E per molti la valenza di quel no andava anche oltre la lettura dei quesiti referendari. Proprio come è accaduto. In questa occasione nessuno ha sottovalutato l'umore degli elettori espresso sul web. Neppure i tradizionali mezzi di informazione.