L'esame di Stato non serve a niente. Ecco perché

500mila studenti sui banchi. Ma vale di più il test di ammissione all'università.

Il voto della maturità in molti casi non viene preso in considerazione dagli atenei. Servirebbe accorpare l'esame ai test d'ammissione per ridare dignità a una prova che non prevede – di fatto – neppure bocciature. Ma la scuola dovrebbe cambiare.

di Luciano Trapanese

L'esame di Stato così com'è non serve a nulla. Solo ad abituare i ragazzi a sopportare la pressione, a gestire la tensione. Che resta comunque un esercizio utile, soprattutto in vista dell'Università.

Ma non serve a nulla per tutto il resto. Perché? Semplice. Nessuno si fida di quell'esame. Nè gli atenei, e neppure i datori di lavoro.

Per i test di ammissione all'università il risultato della maturità non viene preso in grande considerazione. O – addirittura - non viene valutato affatto. Del resto molte prove per l'iscrizione ai corsi di laurea a numero chiuso si effettuano prima dell'esame. Anche un anno prima.

Per il mondo del lavoro c'è l'identica ritrosia a fidarsi del voto finale. Le valutazioni cambiano troppo da un istituto all'altro, da una città o una regione all'altra. Ma non solo: le prove non chiariscono neppure in modo evidente le competenze e le attitudini degli studenti.

Un distacco notevole, tra quello che s'è fatto e quello che si è chiamati a fare (lavoro o università che sia).

In questo modo la maturità perde la sua rilevanza. E lo sapete bene, per un ragazzo ha molto più significato – per il suo futuro – il test di ammissione a un corso di laurea piuttosto che un voto alto o basso all'esame di Stato (anche perché la bocciatura è un evento rarissimo).

Sarebbe utile – per ridare dignità alla prova – accorparla ai test universitari. Affidando la correzione degli scritti a una struttura centralizzata e consegnati in forma anonima (con un codice che non consente di individuare il candidato).

Nel frattempo – per correre ai ripari, ma è un inseguimento a perdere – si cambia formula di continuo: due materie, tutte le materie, tre materie, commissione esterna, commissione interna e così via... Un tourbillon di modifiche che di fatto non cambia nulla. L'esame resta una prova fine a sé stessa. Magari anche romantica (nei ricordi di chi lo ha fatto), ma che nulla cambia nel percorso umano o di studi degli studenti.

Scuola, lavoro e università dovrebbero procedere insieme. Rendere la prova finale del ciclo di studi un test davvero valido. Ma questo significherebbe anche modificare l'approccio scolastico. Si dovrebbero formare competenze anche in base alle predisposizioni, piuttosto che continuare a fornire “di tutto un po'”, che si riduce – spesso – in “niente di tutto”. C'è una scuola ancora analogica, mentre il mondo fuori è diventato digitale. Richiede altro, molto altro. E in modi diversi.

Proprio per questo l'esame di Stato così com'è concepito è quasi inutile. E cambiare le prove non è una soluzione. Sarebbe troppo facile.

Bisognerebbe ripensare l'istruzione nelle scuole medie di secondo grado. Ma insieme alle università e alle imprese. E non basta avere le lavagne elettroniche per dire che è cambiato il sistema.