Siamo tutti a rischio frane e alluvioni. Ecco dove e perché

La tragedia di Livorno. L'80 per cento dei comuni in pericolo. Poi un'estate di incendi e siccità.

Lo Stato non affronta i problemi. Piange per i disastri. Cinque cose da fare per ridurre il rischio. Milioni di famiglie in pericolo. Ogni anno danni per 3,5 miliardi.

di Luciano Trapanese

La Florida affronta l'uragano Irma, con venti che sfiorano i 200 chilometri orari e due giorni di tempesta: cadranno venti centimetri di pioggia.

Da noi, in Toscana, un semplice nubifragio di fine stagione, due centimetri e mezzo di precipitazioni, ha devastato Livorno (causando sette morti e un disperso), e provocando danni in quasi tutta la regione.

Quel mostro sulla nostra Penisola

Provate a pensare se quel mostro di categoria cinque si fosse abbattuto, non su Miami e dintorni, ma sulla nostra Penisola, alterando un equilibrio idrogeologico a dir poco instabile, reso ancora più fragile da un'estate caratterizzata da incendi e siccità. Se invece di due centimetri e mezzo di pioggia ne fossero caduti più di venti...

Quello che è accaduto a Livorno è più di un campanello d'allarme. E' una sirena che urla forte. Che segnala quello che tutti sanno, ma che si continua a ignorare. Dalla Liguria alla Sicilia viviamo su un territorio ad altissimo rischio, dove anche un terremoto di limitata entità – vedi Ischia – può causare morte e distruzione (in aree dove la terra trema con costante precisione).

Roghi e siccità hanno peggiorato la situazione

I roghi che tra luglio e agosto hanno incenerito tanti boschi, anche a ridosso di centri abitati (inutile ricordare il Vesuvio, vero?), hanno di fatto reso la situazione ancora più precaria. Si aggiunge alla scarsa manutenzione dei corsi d'acqua, alle costruzioni realizzate in zone rosse (dove sarebbe vietato), alla quasi naturale fragilità dei nostri Appennini, a una inesistente gestione delle montagne.

Le piogge arriveranno ovunque (e ci mancherebbe, comunque già tra oggi e lunedì in Campania). E se il clima segue l'andamento di questi anni, non mancheranno nubifragi violenti. Certo non uragani. Ma fenomeni molto simili a quello di Livorno.

La solita perenne emergenza italiana. Irrisolta, irrisolvibile. Fatta di inevitabili promesse ogni volta che si verifica il prevedibile disastro.

Eppure non sarebbe difficile intervenire almeno per prevenire il peggio. Per non essere costretti a vivere in una emergenza continua.

Cinque punti per ridurre il rischio

Il Wwf ha stilato cinque punti per risolvere il problema (o almeno ridurre il rischio):

Istituire le autorità di distretto (come prevede la normativa europea), affidando loro il coordinamento degli interventi a difesa dei terreni e delle acque della zona.

Redigere e realizzare programmi adeguati per la difesa, la gestione e la manutenzione del suolo. E sarebbe opportuno fare riferimento al bacino idrografico e non a quello amministrativo (per eliminare conflitti di competenze e paludi burocratiche).

Recuperare i finanziamenti per la difesa del suolo.

Garantire una progettazione multidisciplinare per pianificare e difendere il territorio. Sono necessarie competenze diverse che vanno dall'idrogeologia, all'ecologia, alle scienze forestali.

E infine l'avviamento di un'azione diffusa per il ripristino di piante e arbusti in grado di impedire frane e valanghe.

Vi sembra molto? Francamente no.

Ogni anno danni per 3,5 miliardi

E invece, si continua imperterriti sulla strada dell'emergenza. Che ha costi enormi (e non solo di vite umane). Qualche conto: i danni causati nel Paese dai disastri naturali – terremoti compresi – dal 1944 a oggi ammonta a 242 miliardi. Una media di 3,5 miliardi ogni anno.

La messa in sicurezza dell'intero territorio nazionale – secondo le stime dei Piani Stralcio per l'assetto idrogeologico – avrebbe un costo non superiore ai 40 miliardi.

Fate due conti, sarebbe meglio intervenire. No? Eppure lo Stato preferisce rimanere così, lasciando interi territorio vacillare su un terreno ad alta fragilità.

L'80 per cento dei comuni è a rischio frane

Forse già lo sapete, ma ve lo ricordiamo, non si sa mai: sapete quanti sono i comuni a rischio in Italia? Un numero impressionante: 6.633 su 8.057. L '82 per cento (dati Ance). Costruiti su aree classificate ad elevata criticità idrogeologica. Vi abita il 10 per cento della popolazione italiana: cinque milioni e 700mila connazionali (due milioni e 450mila famiglie).

Sono tutti esposti – ogni giorno, anche ora – al pericolo di frane e alluvioni. Nelle zone rosse di questi comuni, tanto per completare il quadro, sono stati realizzati anche 554 ospedali e 6mila 427 scuole.

Naturalmente l'Italia è anche il Paese più esposto al rischio idrogeologico in tutta Europa (e ci mancherebbe).

Continuiamo con i numeri (fonte Ispra): in Italia ci sono state, nel 2016, 528mila 903 frane (avete letto bene). Duecento di grande entità. Le aree a pericolosità frana sono pari a 12mila 218 chilometri quadrati. Su queste zone ci sono 79mila attività produttive e il 18 per cento del nostro patrimonio artistico.

Con le alluvioni è ancora peggio

I numeri salgono e di molto per la pericolosità idraulica (alluvioni): nove milioni di persone a rischio, insieme a mezzo milione di imprese e 40mila beni culturali.

Una buona parte della nazione vive in bilico (ed escludiamo le aree a rischio sismico...).

Oltretutto frane e allagamenti portano via suolo: le conseguenze per l'economia sono facilmente immaginabili.

Abbiamo ancora negli occhi l'alluvione di Benevento e del Sannio e la disastrosa frana che ha devastato Sarno e Quindici. Lì abbiamo calpestato il fango che aveva sepolto parte del paese: distrutto, disintegrato. Peggio di un terremoto. E se gli uragani sono facilmente prevedibili, e consentono maxi evacuazioni, frane e allagamenti non si annunciano: in un territorio così a rischio basta un violento nubifragio. Anche notturno e sottovalutato dalla Protezione civile. Come a Livorno.