La rabbia dei marocchini: i profughi ci tolgono il lavoro

Gli africani ospiti dei Cas hanno sostituto gli immigrati. «Loro hanno casa, cibo e abiti gratis».

E quindi possono permettersi di ricevere paghe ancora più basse: venti euro al giorno per dieci ore di lavoro nei campi assolati della Piana del Sele. L'analisi di Giovanna Basile, segretaria della Flai Cgil.

di Luciano Trapanese

«Questi vengono dai centri di accoglienza, non pagano per mangiare, per vestirsi, per dormire e possono accettare anche due euro l'ora per la raccolta dei pomodori. Noi no. Abbiamo spese, famiglia, auto. E così si sono presi tutti i posti. Ora i padroni vogliono solo loro. E noi siamo rimasti a braccia incrociate, senza far niente. Senza soldi e con i nostri figli che non hanno da mangiare».

Abdul è un marocchino, vive da dieci anni in Italia. Di sfoghi così ne hanno ascoltati tanti questa estate i sindacalisti della Flai Cgil, impegnati sul campo per tutelare i diritti di chi lavora in agricoltura. I nuovi schiavi (e tra loro anche tanti italiani).

«Sì – conferma Giovanna Basile, segretario provinciale della Flai -. La raccolta dei pomodori è stata affidata, nella Piana del Sele, soprattutto a immigrati subsahariani, molti di loro ospiti nei Cas. Da giugno ad agosto si sono visti solo loro nei campi. Hanno sostituito, almeno per questo tipo di lavoro, nordafricani, bulgari e rumeni che per anni sono stati invece la manodopera tipica per questa stagione».

Davvero una guerra tra poveri. “Combattuta” sullo sfondo di una vergogna nazionale. Quella che si consuma da decenni nei campi italiani con lo sfruttamento selvaggio di essere umani (con annessi stupri): non so se avete provato a lavorare per dieci ore nei campi assolati della pianura che si estende tra Salerno e il Cilento, con temperature che – come questa estate – hanno spesso superato i quaranta gradi.

«La legge 199, quella contro il caporalato – aggiunge la Basile – non ha portato risultati concreti. Non ha messo fine al caporalato, non ha messo fine allo sfruttamento. Soprattutto nell'agricoltura, ma non solo. Ci sono certo anche aziende in regola. Ma altre – e non sono poche – continuano a utilizzare il lavoro nero e sottopagato. Direi anzi che quest'anno la situazione è peggiorata. Ce ne siamo accorti subito, quando abbiamo operato come sindacato di strada, a stretto contatto con i lavoratori. Nella stagione dei pomodori i raccoglitori sono stati pagati venti euro al giorno, per dieci giorni di lavoro. Tutti i giorni. Sette su sette».

Ora inizia il periodo degli ortaggi, nuovi raccoglitori impegnati. In questo caso ci sono anche tanti italiani.

«In genere – continua Giovanna Basile – la paga varia tra due euro e cinquanta a tre euro l'ora. Dipende dal prodotto. Più è costoso e più il lavoratore ha la speranza di racimolare qualcosa di più. Le condizioni sono pessime naturalmente. E il lavoro nero abbastanza diffuso. Ma nessuno parla, nessuno denuncia. Gli stranieri hanno necessità di guadagnare anche per mandare qualche soldo a casa. Gli italiani hanno bisogno di denaro per garantirsi la sopravvivenza. Temono di perdere anche quel poco che hanno. E quindi accettano tutto, anche lavori senza contratti, senza tutele, paghe da fame e orari disumani».

«Almeno qui – conclude la segretaria Flai – non ci sono ghetti. Certo c'è gente che lucra su questi lavoratori, fitta case a prezzi esorbitanti e in una stanza possono dormire anche cinque, sei persone. Ma non ci sono baraccopoli. Quelle le ho viste in Puglia, dove sono stata questa estate. Una situazione assurda, condizioni di vita che non sono degradate, ma molto peggio. E migliaia di persone ammassate in luoghi dove l'igiene è un ricordo lontano. Questo nella Piana del Sele non c'è. Ma lo sfruttamento in molti casi è lo stesso. Anche per gli italiani».