24 Ore

La terra dei suicidi e l'inquietante silenzio

Un'altra giornata nera. Persone che si tolgono la vita e la risposta muta delle comunità

 

Una volta era definito insano gesto. Oggi è assurto a risposta estrema al nostro mal di vivere. Di suicidi sono pieni le cronache. E l'Irpinia – rispetto al numero di abitanti – è tra le zone dove è più alto il numero di persone che decidono di togliersi la vita. Il Sannio segue a non troppa distanza.

Si uccidono anziani, ragazzi, padri di famiglia, giovani mamme, imprenditori e disoccupati. La crisi economica ha inasprito il disagio, fornito altre motivazioni a chi è stanco di vita, ma non è la causa scatenante. Inutile dilungarci in considerazioni sociologiche. Non ne abbiamo la voglia e la competenza. Ma dietro quest'onda lunga di dolore, che avvolge e oscura con più intensità le zone rurali della Campania, c'è qualcosa di concreto e sfuggente. E di terribilmente consueto. La tragedia di chi si toglie la vita, viene accolta dall'opinione pubblica quasi con rassegnata indifferenza. E' proprio questo punto a crearci una imbarazzata curiosità. E domande che sollecitano risposte.

La vita vissuta con malessere è una costante di questi anni difficili. Forse per questo c'è meno indulgenza per chi – e per qualsiasi motivo – getta la spugna e mette fine ai suoi giorni. Minor indulgenza non equivale a una condanna, piuttosto esprime una considerazione che abbiamo sentito spesso a commento di un suicidio: “La mia vita non è peggiore della sua, però continuo ad andare avanti”. Frase che comunque contiene un giudizio. E sintetizza un malessere che è comune. Ma che ignora quelle patologie – come la depressione – che trasformano un malessere in un buco nero.

C'è un disagio collettivo che attenua l'impatto di un suicidio su una comunità. Non lo rende accettabile, ma comprensibile. Ed è questa la cosa che più impressiona.

Luciano Trapanese