24 Ore

E se diventassimo tutti coltivatori di marijuana?

Tre piantagioni (legali) in Irpinia. Una decina in Campnia. E di alta qualità. E in parlamento...

E se il futuro fosse davvero la canapa indiana? Le coltivazioni in Irpinia sono tre (Volturara, Nusco e Montella). Altre ne potrebbero nascere. In Campania in tutto sono una decina. E questa regione è considerata tra le più adatte per la coltivazione di quella pianta.

Sono tutte perfettamente legali. Anche perchè la canapa coltivata non è l'”indica” che contiene molto thc (il principio attivo che la rende stupefacente), ma la “sativa”, che ha lo stesso odore, non proprio lo stesso aspetto, e sicuramente non ha gli stessi effetti. Per intenderci, fumare la “sativa” sarebbe un po' come fumare una bella pianta d'insalata.

Viene coltivata per svariati fini. Si possono produrre medicinali, pasta, olio, birra, tessuti, corde, carburanti (come per la canna da zucchero). Alle piantagioni dovrebbero quindi essere associate delle aziende che ne curano la trasformazione. Un potenziale buon affare.

Ma non è tutto. E' da mesi in discussione in Parlamento una legge per la legalizzazione della canapa a scopo ricreativo, l'indica, quindi. Quella messa al bando da decenni e che riempie le tasche della malavita organizzata che ne controlla la produzione, il traffico e lo spaccio.

Ieri Repubblica ha pubblicato una interessante analisi realizzata da Piero David, ricercatore di economia all'Università di Messina. Ha applicato a una eventuale produzione legale di cannabis la stessa tassa che viene imposta al tabacco (il 75 per cento). Nelle casse dello Stato entrerebbero tra i sei e gli otto miliardi di euro ogni anno. Una enormità. E sono dati che si poggiano anche su esperienze già avviate, come in Colorado. Dove la legalizzazione ha portato gli stessi benefici.

In più ci sarebbero i vantaggi dei contributi versati allo Stato da tutti i lavoratori coinvolti nella produzione, nella trasformazione e nella vendita del prodotto. Oltre ai soldi che non bisognerebbe più spendere tra forze dell'ordine chiamate a contrastare il fenomeno e sistema carcerario. Senza contare che è stata proprio la Direzione nazionale antimafia a consigliare la legalizzazione della cannabis. E per due motivi: la repressione ha fallito e non ci sono fondi necessari per contrastarla.

Una serie di buoni motivi – evidentemente – per superare distinguo etici e moralistici. Anche perché su una cosa sono d'accordo tutti: la cannabis non produce più danni dell'alcol o del tabacco. Prodotti gestiti dal Monopolio di Stato. E sicuramente non provoca la stessa dipendenza e non ha le stesse tragiche conseguenze della ludopatia, che il governo continua a incitare consentendo l'apertura di migliaia di sale scommesse.

L'erba è un possibile business, quindi. E in quanto business lo Stato potrebbe affrontare la questione in modo decisamente più pragmatico.

La vicenda ci interessa proprio perchè storicamente la Campania è stata una importante produttrice mondiale di canapa indiana. Sia per la quantità che per la qualità. Immaginare quindi che la cannabis possa almeno in parte risollevare le sorti economiche di questa disastrata regione non è una semplice fantasia. Vino, cannabis, castagne, nocciole: una filiera agro-ricreativo-alimentare rilevante. Ma solo se queste produzioni venissero affiancate da aziende impegnate nella trasformazione e distribuzione.

I dati forniti dall'economista siciliano sono impressionanti. E la sua analisi combacia con altre elaborate in precedenza.

Chi l'avrebbe mai detto, il futuro del sud potrebbe passare per la canapa indiana? Chissà se Susanna Camusso, leader della Cgil, quando è venuta in Irpinia pochi mesi fa pensava proprio a questo quando, smentendo anni e anni di crociate pro industrializzazione, ha invitato i ragazzi a dedicarsi all'agricoltura.

 

Luciano Trapanese