Emozioni In

"Riprendimi". Essere ascoltati e guardati

di Mariateresa Grasso

Cosa da’ senso alla nostra storia di vita? La possibilità di essere ascoltati e guardati. Ma da chi? “Riprendimi” è un film del 2008 diretto da Anna Negri. Il film si presenta come un falso documentario. Eros e Giorgio sono due cameraman che vogliono realizzare un documentario sul precariato del mondo del lavoro e decidono di riprendere-giorno e notte- le vite di una coppia di amici, Lucia e Giovanni, entrambi precari nel mondo dello spettacolo. La precarietà lavorativa si traduce ben presto in precarietà dell’intimità, delle relazioni e così Giovanni decide di andar via di casa, pur avendo un figlio con Lucia di poco più di due anni. Da quel momento la vita di Lucia è segnata e lei passa da momenti di grande rabbia a momenti di forte disperazione in cui cerca di riportare a sé il compagno. Eppure nonostante  questi vissuti di grande sofferenza durante la visione del film lo spettatore non abbandona quasi mai il sorriso. Le telecamere di Giorgio ed Eros che riprendono tutti i momenti di sofferenza dei protagonisti sono lo sguardo esterno che ci permette costantemente di dare senso e continuità a ciò che sta accadendo. Wilfred Bion ci dice che se c’è qualcuno che racconta la propria storia vuol dire che anche i cambiamenti più dolorosi non sono stati una catastrofe. La possibilità di raccontare e raccontarsi ci permette di non collassare di fronte a grandi dolori. Il film narra anche la morte di una donna, la vicina di casa di Lucia, che si suicida di fronte a una delusione d’amore. Non tutti ce la facciamo ad avere uno sguardo su ciò che sta accadendo. Lo sguardo ironico su di sé e sul mondo è ciò che ci permette di prendere le distanze da una precarietà che può frammentare e distruggere. Non a caso Lucia si occupa di montaggio nel suo lavoro ed è anche molto brava. E’ necessario rimettere insieme i pezzi per dare nuova forma a vissuti della propria storia che, se lasciati dispersi, ci fanno sentire smarriti. L’ascolto e lo sguardo di una persona che ci vuole bene è importante per orientarci nelle nostre vite precarie. Nei primi anni di vita sappiamo che lo sguardo della mamma nei confronti del proprio bambino è fondamentale affinché il piccolo percepisca di esistere. Se i genitori non guardano il bambino nella sua interezza, non lo accettano per quello che è,  la possibilità di crescere con un senso di sé come persona che vale, che ha diritto ad esistere può essere compromessa. Da adulti è necessario che questa funzione del sapersi ascoltare e guardarsi dall’esterno sia interiorizzata.  Lucia è spesso infastidita dalla presenza del cameraman, soprattutto di notte quando non riesce a dormire, ma in un momento del film gli dice  che non gli chiede di andar via perché ha paura di sentirsi sola. Il rapporto con la solitudine è un altro aspetto centrale nella riflessione sulla nostra fragilità. Se non giochiamo con la  solitudine non possiamo ironizzare su di essa. Solitudine intesa non come uno stare soli, come ci indica il film, ma come capacità di entrare in contatto con i propri vissuti, anche quelli più profondi, di sentirli accadere e non di negarli. Lucia riesce ad attraversare la sua solitudine esprimendo una singolarità intensa ed affascinante, tanto che il cameraman con il passare del tempo si innamora di lei. Non sappiamo come sarà  la storia tra di loro, ma di sicuro possiamo dire che solo se guardiamo a noi stessi con un occhio esterno possiamo accettare i cambiamenti delle nostre esistenze, non renderli una catastrofe e magari innamorarci anche delle nostra fragilità.