Emozioni In

"Mia madre", nostra madre

Di fronte alle parole “mia madre” ci sentiamo subito chiamati in causa

“Mia madre”, espressione universalmente densa di emozioni per ognuno di noi, nessuno escluso, a prescindere dalla cultura di appartenenza, dalle storie personali, o dal rapporto che viviamo o che abbiamo vissuto con nostra madre. Possiamo avere un rapporto conflittuale con lei, o non averla mai conosciuta, oppure potremmo doverla “dividere” con un fratello o una sorella di papà differenti, ma in ogni caso di fronte alle parole “mia madre” ci sentiamo subito chiamati in causa. Perché “la mamma è la cosa più importante della nostra vita”, spesso sentiamo dire; ma che significa? Che il rapporto che abbiamo vissuto o che viviamo con nostra madre, il rapporto reale o quello simbolico, cioè il rapporto così come lo viviamo dentro di noi, orienta fortemente il nostro modo di porci di fronte alla realtà esterna e dunque il nostro modo di vivere. L’aspetto più evidente di questa influenza, ma assolutamente non l’unico, è il nostro modo di porci rispetto al femminile, e ciò vale sia per gli uomini che per le donne. Per i primi una mamma molto accudente, ad esempio, può far sì che questi ricerchino nei rapporti affettivi di essere accuditi dalle donne che incontrano; per le donne il modello di madre condizionerà il loro modo di essere donne e dunque il rapporto con la propria femminilità e la scelta del partner. Ciò può indurle a riprodurre quel modello o invece a contrastarlo. In ogni caso è il rapporto con la mamma il punto di riferimento. Chiaramente non parliamo mai di rapporti causa- effetto e le variabili che incidono sul nostro modo di crescere sono tante, ma il rapporto con colei che ci dà la vita continua ad essere fondamentale per tutta la vita. E’ chiaro dunque che quando viene a mancare questa figura, cioè quando muore nostra madre, oltre al dolore profondo che ognuno di noi prova, ciò che si sente minacciata è la nostra identità. E’ per questo che anche da persone adulte soffriamo fortemente di fronte alla perdita di nostra madre. Con lei è come se morisse una parte di noi che possiamo recuperare solo con il tempo e sforzandoci di “pensarci su”, cioè diventando noi stessi madri e padri di quella perdita. Un grande dolore può essere tollerato solo se riusciamo a pensarlo, altrimenti ci annienta. Nel film “Mia madre” Giovanni (Nanni Moretti) e Margherita (Margherita Buy) sono fratello e sorella, lui ingegnare, lei regista che di fronte alla notizia della malattia della mamma che la porterà alla morte sembrano perdere interesse per qualsiasi cosa abbia a che fare con la vita, il lavoro, i rapporti affettivi. Il film con elegante sobrietà trasmette precisamente lo stato di sospensione dalla vita che la morte annunciata della madre provoca nei protagonisti. Margherita, che sta girando un film, continua nel suo lavoro, ma è continuamente invasa dai pensieri per la mamma e dai ricordi di quando era ragazza. Giovanni si mette in aspettativa e prima ancora che la mamma muoia e che l’aspettativa finisca si dimette. Come se non fosse proprio possibile pensare di vivere, di essere utile a qualcosa, dopo. La paura poi che con questo evento tutti gli studi, tutti i libri, tutti i suoi insegnamenti vadano perduti. La mamma muore e i libri restano lì a testimoniare il lavoro di una vita, e a rappresentare l’eredità dei suoi insegnamenti per chi li vorrà aprire. Il corpo della mamma è morto e gli occhi della figlia piangono, ma ciò che è vivo è il ricordo della mamma che pensa al domani.

Di Mariateresa Grasso