Commercio, dati choc: chiudono 7 negozi al giorno

L'analisi di Confesrcenti: qui le famiglie si sono impoverite molto più che nel resto d'Italia

L’”Italia che non cresce” è il titolo dell’importante studio condotto da “Confesercenti – Cer”, con un Focus sulla spesa delle famiglie e sull’aumento IVA, con la conseguenza di un impoverimento dell’economia italiana e dell’Italia in generale. Lo studio, presentato questa mattina, ha sancito che il mercato interno italiano ha perso circa 60 miliardi di euro di spesa negli ultimi otto anni, dal momento che i consumatori italiani oggi consumano meno di otto anni fa: nel 2018 la spesa media annuale in termini reali delle famiglie italiane è stata di 28.251 euro, inferiore di 2.530 euro ai livelli del 2011 (-8,2%). In Campania in 8 anni sono stati bruciati 43.5 milioni di euro. E se nel 2020 si stima un piccolo incremento, con la spesa media annuale che dovrebbe salire a 28.533 euro, l’aumento dell’Iva annullerebbe tutti i progressi con lascomparsa di altri 9mila negozi circa, in Italia, da qui al 2020.

I dati della Campania
Confesercenti Campania ha analizzato i dati relativi alla nostra regione, che non sfugge, ovviamente, al notevole calo di consumi in 8 anni. In particolare, dal 2011 ad oggi, c’è stato un calo di consumi di 5.5 milioni l’anno da parte delle 2,1 milioni di famiglie esistenti, ovvero in 8 anni l’economia della nostra regione ha perso 43.5 milioni di euro. Con riferimento alla sola Napoli e provincia, invece,  le 1,2 milioni di famiglie partenopee hanno speso 23,8 milioni di euro in meno dal 2011 al 2018, ovvero  quasi 24 milioni di introiti in meno per le imprese. «Il dato è molto preoccupante – commenta il presidente di Confesercenti Interregionale (Campania e Molise) Vincenzo Schiavo – se si somma al dato che dei 153 negozi che in Italia chiudono ogni giorno dal 2011 ad oggi, circa 7 sono relativi alla nostra regione. Immaginando che siano tutte piccole imprese, dove lavorano almeno il titolare e altre due persone, parliamo di 21 cittadini che si ritrovano al giorno per strada, ovvero 7665 in un anno. Un esercito di silenziosi disoccupati che va a finire nel nulla. Migliaia di imprenditori e dipendenti che perdono la dignità del lavoro e sono disoccupati silenziosi, non sono quelli che si incatenano ai cancelli o che vanno in strada a protestare. E così, mentre assistiamo alla kermesse della politica che si lancia in prospettiva di crescita che non si vedono, noi di Confesercenti analizziamo questi che sono dati veri. La verità è che dal 2011 ad oggi l’Italia, e quindi anche la Campania, è più povera».


Nello specifico, rispetto al 2011, la nostra regione è la diciassettesima d’Italia ad aver perso di più nei consumi delle famiglie, un significativo -0,9%, con un calo dello 2% nel settore alimentari, dello 0.3% nel settore abbigliamento e calzature, un 1.5% di calo nelle spese relative all’abitazione e uno 0.4% in meno nel settore comunicazioni. Sono cresciute, sempre secondo lo studio nazionale Confesercenti-CER , le spese in Campania solo per quanto riguarda mobili, servizi sanitari e trasporti. «La riflessione che dobbiamo fare – conclude Vincenzo Schiavo – è che la politica deve interessarsi quanto prima a questo tsunami che arriva sulle spalle delle persone serie, di imprenditori che vivono come un fallimento personale oltre che professionale la chiusura di un negozio. Sono persone che sono diventate povere dall’oggi al domani. La politica nazionale e quella locale, senza distinzione di colori, è necessario che si avvicini a queste realtà per dare economia al nostro territorio. La Campania ha troppe persone povere, bisogna aiutare queste famiglie. Il reddito di cittadinanza porterà un poco di respiro, ma dobbiamo consentire alle famiglie di poter spendere di più e per farlo bisogna abbassare i costi, ovvero le accise regionali, comunali e nazionali. Dobbiamo arrivare al punto che le famiglie campane, avendo disponibilità in tasca di 100 euro, devono poter contare su un 70% di spesa, come accade in tutti i paesi civili, e non pensare che il 50% va allo Stato per la pressione fiscale».