24 Ore

Una città senza piazze è una città senz'anima

Avellino non ha più luoghi di aggregazione. Si spera in piazza LIbertà, ma...

Una città senza piazze è una città senz'anima. Un freddo agglomerato urbano che ha rinunciato alla sua identità, che ha messo da parte la sua essenza, nel nome del tiriamo a campare. Avellino non ha piazze. Non più. Piazza Libertà è in perenne rifacimento, piazza Kennedy è un invito alla fuga, tra smog, inospitali giardini e una strana struttura centrale, che avrebbe dovuto ospitare locali, ma è diventato ricovero di clochard. Piazza Duomo, forse la più caratteristica, la più strettamente avellinese, chiusa tra cantieri, cancellate e auto. Di fatto, un invito a non frequentarla. E poi piazza Castello, di fronte al teatro. Avrebbe dovuto essere il simbolo della cultura, il centro del centro storico: è una discarica sequestrata, un enorme telone di cellophane tra i ruderi del maniero longobardo e quell'enorme struttura che contiene un palcoscenico.

La vera piazza avellinese è ora il Corso. Un lungo rettilineo scandito da negozi chiusi. Un “salotto” poco ospitale, non certo aggregante. Una sorta di non luogo, ma l'unico rimasto a rappresentare quel che resta della città.

Eppure, ne siamo convinti, bisognerebbe ripartire dalle piazze negate per consentire a questa Avellino barcollante, periferia di se stessa, una piccola, ma ancora parziale, rinascita. E da quei luoghi rimettere in piedi la città che non c'è più. Collegarli, in un immaginario percorso che disegna la ripartenza, dopo anni di vuoto, di potere senza potere, che ha disaggregato e umiliato, scorticato l'essenza e il cuore di un capoluogo che non è più riferimento, neppure per chi lo vive ogni giorno.

Ma non c'è né un progetto, né un disegno. Si spera. E così i lavori chiusi a piazza Libertà (ce la faranno a marzo?), dovrebbero restituire d'emblèe, la piazza rinnovata alla città che aspetta. Non è così. Soprattutto, non è così semplice. Una piazza non è solo un luogo fisico. Non basta rifarla per renderla quello che dovrebbe essere. Ha bisogno di rinascere davvero per ridiventare centro aggregante, per trasformarla nel “posto” dove gli avellinesi si incontrano, dove trascorrono il pomeriggio e le serate. Da dove magari possono raggiungere anche piazza Duomo o piazza Kennedy o piazza Castello. Diverse tra loro e tutte vive, tutte parte di una geografia che restituisce ad Avellino il suo respiro, il suo alito di vita.

Di Nunno aveva immaginato la città giardino. Una bella suggestione, ma non è andata bene. Galasso si è avventurato in una “città della cultura”, ma non ci credeva neppure lui. Foti non ha ipotizzato nulla. E ci sta riuscendo.

Salerno è ripartita – tra l'altro – grazie a un'idea folle e banale allo stesso tempo. Le luci di Natale. Associate al turismo estivo, alla crescita economica di porto e commercio, l'hanno risollevata dall'anonimato.

Ad Avellino nessun amministratore è in grado di concepire un'idea altrettanto banale ed efficace? Eppure la città non ha la complessità di Salerno. Non ha le stesse estese periferie, e neppure le stesse note problematiche urbanistiche. Ma niente, si va avanti. Neppure per tentativi. Non c'è dialettica, anche uno scontro tra idee contrapposte, tra visioni diverse di quello che dovrà essere. La stessa presunta intellighentia resta ancorata alle solite vetuste battaglie: Eliseo e Dogana. Come se davvero il futuro di Avellino fosse appeso alle sorti di quelle due strutture.

Nessuno immagina – ma è solo un esempio – che se questa è la città nota nel mondo per vino ed enogastronomia, potrebbe puntare su questo per ridiventare attrattiva, per spingere anche tutti quelli che affollano Salerno o Napoli, a fare un salto in questa cittadina dell'entroterra (anche facilmente raggiungibile), per fermarsi nelle vinerie che circondano le piazze tipiche e affollate, per bere e mangiare bene, in tranquillità, sottraendosi per qualche ora o qualche giorno al caos dei due centri sulla costa?

E puntare su questo con festival del vino, con incentivi per i giovani che aprono locali, magari nelle piazze, dove vengono serviti solo vini e alimenti di produzione locale, come accade in tante località della Toscana o del Piemonte.

E' un'idea, magari perdente. Ma è un'idea. Sarebbe importante per la città, uno scontro su questo. Su quello che deve essere l'obiettivo, lo scenario sul quale costruire la rinascita. Invece assistiamo al vuoto completo. Di idee e dibattito. E non solo da parte degli amministratori (i primi responsabili). Ma anche da chi pretende di avere visione e cultura. Tutti chiusi all'interno del loro piccolo orticello, a coltivare battaglie personali, narcisisti, specialisti del parlarsi addosso, pieni di sé e di null'altro, con l'indice sempre puntato contro qualcuno o qualcosa.

E le piazze restano vuote.

Luciano Trapanese