Ariano Irpino

"Qual è la candela il cui sciogliersi vale questo gioco? Quale il cliché più originale da giocarsi? Quale la vera motivazione per la quale abbiamo il dovere di metterci - se lo abbiamo - inmotus fino a una cabina elettorale, e votare (No), domenica 4 dicembre?"

Referendum, la parola ai giovani, ecco la lettera inviata a ottopagine da parte di Antonella Moschillo di Ariano Irpino, studentessa universitaria alla facoltà di medicina dell'Università la Sapienza di Roma.

Domenica 4 dicembre 2016, in tutta Italia, (e quel tutta mi suona di perversa perifrasi), si svolgerà il Referendum sulla Riforma Costituzionale, firmata Renzi-Boschi-Verdini.

Sappiamo già tutto, o forse no. Forse mentre tutte le poltrone televisive non hanno il tempo di essere rilucidate, già pronte al nuovo ospite, dall’altra parte qualcuno non ha il tempo di ascoltarle, quelle poltrone lì, quelle persone lì, quelle motivazioni lì.

E avete ragione, abbiamo ragione. E non posso dirlo cosa stanno facendo quelle mamme lì e quei papà lì, quei figli lì che non riescono a fermarsi ad ascoltare la poltrona che intanto insiste, intanto parla, perché sarebbe una retorica spicciola, poco asciutta e molto commossa.

Ho provato ad ascoltarle io, anche per chi non poteva, e ho letto, e ho ancora ascoltato, e ancora letto, e, ho concluso, l’epigrafe da scrivere sul monumento all’intelligenza che in tutti i modi hanno provato a innalzare, è: Io voto No. Voto No per due ragioni, vergini l’una dall’altra, forma e sostanza.

Voto No perché ci viene chiesto di scegliere se approvare o meno una Riforma Costituzionale la cui lettura, si è tradotta per me, studentessa universitaria, in una grondaia carica di ambiguità, costruite sulla difficoltà di comprensione del testo in questione. In realtà i dati sono questi, a non aver capito la riforma sono 9 italiani su 10. Sarà che si tratta di un testo scritto per non essere capito, sarà che il paradosso più grande di questa Riforma è, prima ancora che nel contenuto, nella forma, distratta e confusa, in cui è stata scritta?

E come vogliamo leggerlo il tentativo di farci credere che possiamo decidere qualcosa che non abbiamo le possibilità di capire? (Da notare bene: le possibilità a cui faccio riferimento non sono certamente conoscenze in Diritto Costituzionale, si tratta di conoscenze molto più argute, cioè la grammatica dell’italiano del potere subdolo, quello che invece di toglierti le caramelle ti chiede tu che preferisci, senza dirti che le caramelle non sono proprio in discussione).

Voterò No quindi, perché mi spiace, ma io non posso capirla la Riforma, perché non so cosa significhino quei paroloni incastrati tra loro, costruiti con una sintassi pesante, così sciatta, così ingarbugliata, così disorganica, babelica, scoordinata, così poco rispettosa degli uomini e delle donne a cui si rivolge, così poco rispettosa degli uomini e delle donne da cui è stata partorita.

Voto No, poi, perché ho letto la Riforma, ho provato ad andare oltre quella forma irrispettosa in cui mi si proponeva, ho sfidato ogni illogica disabilità sintattica di cui mi sentivo portatrice e ho deciso.

No, non lo sceglierei un bicameralismo perfetto, ma non sceglierei tantomeno un bicameralismo imperfetto, contorto e autoritario, frutto delle meccaniche di partito, di politica e di consigli di amministrazione. Un Senato ancora presente, ancora in grado di diventare giocatore dell’ormai famoso pingpong delle leggi, ancora forte, anzi, più forte, meno giusto, e infine, non scelto, ovviamente, dai cittadini. E non chiedetemi eletti allora da chi, perché ancora non riesco a trovare pace tra i commi 2 e 5 dell’articolo 57 che serenamente si contraddicono tra loro dicendomi alla fine, con evidente ghigno di vittoria “tranquilla, non puoi capire”.

No, non la sceglierei la riduzione del numero dei parlamentari, insieme alla riduzione dei costi di funzionamento delle istituzioni, e non la sceglierò se significa ridurli per l’illusione di risanare in tal modo le finanze dello Stato, quando è evidente, e ritornano le mille poltrone occupate a spiegarlo, che non basterebbero, che 50 milioni di euro, non appena si prova ad andare oltre il lessico ingannevole, appaiono in verità come gli spiccioli, lasciati nel centrotavola a ritorno dopo una giornata di lavoro.

Il Cnel, beh, prendete una scatola di cioccolatini, buttatela, la scatola vuota ovvio, i cioccolatini poi spostateli da un’altra parte, fine. Questo è ciò che accadrà. La scatola è il Cnel, i cioccolatini chi ci lavora. Il risparmio? Meno degli spicci nel centrotavola. Quindi No, non buttatela, se proprio i cioccolatini dobbiamo tenerli, mi vanno bene in scatola.

Infine la modifica del titolo V. Cos’è? È il tentativo di indebolire le autonomie locali, per spianare la strada a una palese supremazia statale. È la condanna a una eutanasia del territorio in cui vivo, in cui vivi. È la pretesa di depersonalizzare la tua terra, e la mia. È un errore, un grande, colossale, terrificante errore.

Quindi per la sostanza, io voto No. Inoltre siete dei grandi cialtroni e dei grossi, colorati, buffi e tristi, tristissimi giullari voi che su quelle famose poltrone non parlate di commi e titoli -ve lo concederei-, ma parlate di diabete infantile, di cancro, e perché no, epatite C per guadagnarvi un Sì convinto e costruito sulla pietà delle bare bianche. Perché la politica è bella, anche per chi non la fa, qualcuno diceva che la politica è poesia, ma voi, mi dispiace, non avete avuto dubbi a distruggerla.

A quelli che sostengono il cambiamento infine, direi: il cambiamento non è sempre un valore, non lo è per forza. Tutti vogliamo cambiare le cose, ma come cambiarle non è un inutile corollario, in questo caso è tutto il senso di questo discorso. Cambiamo, ma cambiamo davvero, perché lo ricordate tutti il Gattopardo? E quando diceva “Deve cambiare tutto perché niente cambi”?, è quello il rischio, è quella la vera riforma. Non cedete all’inganno. Guardate un po’ più in là. Per una volta provate a capovolgere le cose, a capovolgere lo sguardo, per vedere, in questo caso, meglio.

Redazione