di Luciano Trapanese

L'attentato intimidatorio al sindaco di Montoro, Mario Bianchino. Le minacce di morte al primo cittadino di Monteforte, Costantino Giordano e all'assessore ai fondi europei (un caso?), Carlo Tomeo. A Contrada la brutale esecuzione del pregiudicato Michele Tornatore.

Tre episodi slegati tra loro. Ma che si sono verificati tutti nelle ultime settimane. Tre campanelli d'allarme, che segnalano il ritorno di un clima dimenticato. E pesante. Un clima che ha caratterizzato a lungo la provincia di Avellino. Fin dagli anni '80.

Non sappiamo cosa ci sia dietro questi episodi. I segnali lasciano aperte diverse interpretazioni. Anche le più inquietanti.

Sul delitto di Contrada (la vittima era di Montoro), già indaga l'antimafia. Le minacce e soprattutto gli attentati ai sindaci sono spesso legati all'attività amministrativa. Fondi, appalti, concessioni edilizie: tutta roba che potrebbe far gola a un certo tipo di criminalità. Che non è quella comune.

Per Bianchino la prefettura avrebbe già consigliato una scorta. Il sindaco di Monteforte ha ripetuto: vado avanti, non mi faccio intimidire.

Ma il quadro – lo immaginate – è davvero preoccupante.

Una sorta di pax mafiosa durava in Irpinia (se si esclude qualche episodio nel Vallo di Lauro), da più di dieci anni. Da quando era stato fatto a pezzi dalle inchieste giudiziarie il primo gruppo camorristico avellinese, il clan Partenio dei cugini Genovese.

Nel frattempo si era affievolita l'influenza dei Pagnozzi in Valle Caudina, indeboliti dagli arresti i clan storici del Vallo di Lauro, Cava e Graziano.

Proprio i Cava hanno avuto a lungo un peso notevole a Monteforte e Montoro. Due comuni chiave. Il primo alle porte di Avellino, cerniera con il Vallo Lauro e il Nolano. Il secondo che guarda invece a Salerno, nel cuore di una zona “interessante”, come la Valle dell'Irno (un tempo presidiata da un clan Montorese, quello dei Meriani, strettamente legato proprio ai Cava).

Quella geografia criminale, per anni sempre identica, è cambiata radicalmente. Nel Vallo di Lauro sono cresciuti i Sangermano. Da Salerno si muove una camorra tutta nuova. Mentre Avellino resta comunque zona di riciclaggio per alcuni importanti gruppi camorristici dell'area napoletana, in particolare del Nolano: i Fabbrocino su tutti.

Ma c'è altro che cova sotto la cenere. La rinascita di una criminalità organizzata tutta irpina non può essere esclusa. Difficile immaginare che le radici conficcate dai vecchi clan siano seccate del tutto. Gli investigatori lo hanno ripetuto sempre. Anche all'indomani del blitz che ha debellato i Genovese: questo clan ha cambiato per sempre i connotati della malavita avellinese.

Gli anni successivi hanno fatto ritenere quelle parole non del tutto veritiere. In questo momento tornano di nuovo d'attualità.

Dal dopo terremoto al duemila. Venti anni e più di sessanta omicidi, tutti da attribuire alla camorra. Una scia di sangue che ha impregnato la provincia di Avellino. Mentre c'era ancora qualcuno – e lo ricordiamo bene – che dopo ogni delitto ripeteva sempre lo stesso refrain: non vi preoccupate, siamo un'isola felice. Quella cantilena si è spenta quando il clan Partenio ha iniziato a uccidere, far esplodere bombe, pestare a sangue commercianti, inondare di cocaina la città. E più nessuno ha osato ripeterla (nonostante gli anni successivi di relativa calma).

Ora c'è di nuovo tensione. I radar dell'antimafia sono di nuovo puntati sull'Irpinia. C'è una nuova generazione che è cresciuta in silenzio. E clan che approdano dall'esterno (anche da Casal di Principe, ma quelli ci sono sempre stati: date un'occhiata ad alcuni appalti).

I predoni della camorra ritornano ogni volta che si fiuta l'arrivo di fondi pubblici. Prima erano quelli del post terremoto. Poi quelli del relativo benessere degli anni '90, inizio 2000. Ora sono i fondi europei. Montoro e Monteforte sono già nel mirino. E possono essere solo i primi di una lista che è destinata ad allungarsi.