di Luciano Trapanese

Beh, rischia di accadere quello che si immaginava. La bufala della Blue Whale – il gioco social che spingerebbe al suicidio -, alla fine è diventato il tormentone fisso per tutti i casi di ragazzi che si tolgono la vita o tentano di farlo. La conseguenza? E' che davvero si escogiti qualcosa di simile. Tanto il terreno è già stato arato. La curiosità è tanta, i media assecondano questa porno verità acchiappa lettori (o click). E i ragazzi non vedono l'ora di giocare: anche solo per dire “l'ho fatto e li ho presi in giro”.

Mentre il terrore dei genitori è alle stelle. E scandagliano le pagine social dei figli alla ricerca di foto di balenottere blu.

Insomma: la solita follia collettiva ai tempi del web.

Non serve a niente ricordare che un creatore della community del gioco ha poi dichiarato – ed era vero – di averlo fatto per fare soldi con gli accessi alla pagina. Così come stanno facendo anche i tanti che hanno aperto gruppi contro la Blue Whale senza mai riportare notizie certe, ma solo voci, bufale, notizie assolutamente infondate o indimostrabili.

La cosa peggiore è che se ne parla ovunque, soprattutto ai ragazzi. Sono scesi in campo psicologi, psichiatri, insegnanti, guru del social, esperti per tutte le stagioni. E ne parlano come se fosse vero, accertato, scontato. Come se davvero decine dei nostri figli giocassero sui social alla gara a punti che porta al suicidio.

Potere del web. Della condivisione compulsiva. Della necessità di credere a tutto. Nonostante l'evidenza.

Ma non è colpa del web. Perché gli anticorpi sono disseminati nella rete. Basta cercarli: ci sono decine di articoli, inchieste e interviste che dimostrano come la Blue Whale sia poco più che una suggestione. Una invenzione. Partita da una intuizione giornalistica sballata, non comprovata da inchieste giudiziarie, non verificata a livello mondiale.

Proprio come tante altre bufale del web. Ideate per raggranellare un po' di click o danneggiare qualche avversario politico o alcune aziende.

Come quella dell'arsenico nell'acqua minerale (molto diffusa). Della nuova droga: una caramella a forma di orsacchiotto. Del pakistano che gira armato di mitra tra le strade di Fuorigrotta. O quella antichissima: dei segni lasciati dai rom all'ingresso degli appartamenti da svaligiare.

Ma ce ne sono tante altre. La produzione è continua. La diffusione costante. E l'opera di siti come Bufale.net davvero meritevole: almeno le smonta tutte. Il problema è che una volta entrate in circolo diventano verità acquisite. E il tentativo di dimostrare il contrario è spesso inutile.

Con la Blue Whale è anche peggio. E' un allarmismo che rischia di generare emuli. Gente che potrebbe anche decidere di farlo davvero un gruppo per giocare al suicidio. Dopo tanta pubblicità il successo è quasi assicurato (forse anche la galera).

Ma c'è una cosa che gli adulti spesso dimenticano. I frequentatori più maturi di social e web sono proprio i ragazzi (mentre i genitori scoprivano Facebook loro erano già migrati altrove, su lidi meno affollati di mamme e papà in perenne apprensione). Senza dimenticare che – mentre si blatera un po' ovunque di Blue Whale – i social e il web sono pieni di pagine e siti dedicati al suicidio. Andate a guardare quelli. E preoccupatevi sul serio. Altro che balene.

In uno studio di qualche anno fa – con l'esplosione dei social la situazione è peggiorata -, sono stati identificati 240 siti web e 480 pagine sul tema. La metà inneggia al gesto estremo. Mentre il 13 per cento fornisce anche consigli utili: i metodi migliori per farla finita. La ricerca è stata effettuata dalle università di Bristol, Oxford e Manchester e pubblicata sul British Medical Journal.

Quei siti sono veri, così come le pagine e i gruppi sui social. Pochi minuti sui motori di ricerca e si possono trovare. Molto più facilmente della Balena Blue. E sono davvero preoccupanti. Assai più di una bufala.