Salerno

Sono passati otto anni, ma sembra ieri. Una ferita aperta, profonda, sanguinante e che il tempo non riuscirà mai a guarire. Tanta, troppa la stima nei confronti di un ragazzo che, con semplicità, senso di appartenenza e piglio da leader, aveva contribuito a rendere la curva Sud una delle più belle, calorose, determinanti ed incisive d'Italia. Quella che era la sua seconda casa ora è intitolata a lui che, da lassù, starà sicuramente continuando a palpitare per i colori granata sperando di festeggiare con Ciro, Enzo, Peppe, Simone, Zorro e tante altre persone che ci hanno lasciato troppo presto una promozione in serie A da dedicare a chi ha trascorso gran parte della propria esistenza al fianco della squadra del cuore al di là di classifiche, acquisti ed obiettivi. Quando il 12 aprile del 2010 si diffuse la notizia della morte di Carmine Rinaldi anche i più giovani che lo avevano conosciuto soltanto attraverso il ricordo dei genitori versarono lacrime sincere, recandosi con sciarpa e bandiera allo stadio Vestuti per onorarne la memoria, per far capire a tutto il mondo ultras europeo quale vuoto avesse lasciato Carmine nel cuore di un popolo che, ogni sabato, inizia la sua partita del tifo scandendone il nome con commozione e rimpianti per un'avventura terrena che si è conclusa troppo presto e nel modo più beffardo. "Quanto ci sarebbe bisogno di uno come lui in questo momento" è frase ascoltata tante volte sulle scalee dell'Arechi, stadio che lo ha ricordato con una meravigliosa coreografia in occasione della festa promozione con il Poggibonsi; nella circostanza i gruppi ultras decisero di abbinare un giorno di gioia al ricordo di chi non c'è più, una gigantografia che lasciò a bocca aperta anche il Sindaco Vincenzo De Luca e i presidenti Lotito e Mezzaroma che, in suo onore, hanno deciso di aggiungere alla divisa da trasferta una specie di "S" interamente granata ringraziandolo implicitamente per l'amore dimostrato per la città di Salerno e per i colori granata.

Chi c'era in quel piovoso pomeriggio al Vestuti ha imparato ad amarlo pur senza averlo mai conosciuto. La disperazione di Ciccio Rocco, il ritorno sulle gradinate dopo anni di ultras storici di vecchissima data, quel coro "La gente vuol sapere chi noi siamo" che ha fatto tremare la curva quasi come se si stesse giocando una partita della Salernitana. Emozioni, brividi e sentimenti autentici che solo il calcio sa regalare, quel calcio malato e spesso corrotto che continua ad andare avanti grazie alla passione di chi lega la propria esistenza all'amore per la propria squadra. "Dell'essere ultras ne hai fatto uno stile di vita, la curva ti onora in ogni partita: Siberiano vive" si leggeva in uno striscione affisso a Pastena esattamente un anno fa, ma anche oggi sul web in centinaia stanno postando foto ricordo o video che lo ritraggono in una delle pochissime interviste concesse agli organi di informazione, quando ha battuto su un concetto che ancora oggi è il caposaldo della mentalità della curva: "Conta solo la maglia, non chi la indossa" perchè "quella è nostra, è la nostra vita!". Andare oltre significa voler scadere nella retorica, noi preferiamo limitarci a rinnovare un abbraccio affettuoso a tutta la famiglia, ai suoi tanti compagni di avventura, a quei tifosi che hanno girato l'Italia insieme a lui e che, con fierezza, raccontano alle nuove generazioni aneddoti che fanno parte a tutti gli effetti della quasi secolare storia granata. Una storia scritta non dai calciatori, dai presidenti o dagli allenatori, ma da chi la ama e la continua ad amare dalla curva Sud del Paradiso. Otto anni dopo Salerno non dimentica: il Siberiano è sempre nel cuore di tutti!

Gaetano Ferraiuolo