Benevento

“In Procura era stato preparato un verbale, risposi che firmavo solo le cose che potevo provare”, ha detto ad un tratto, suscitando una inevitabile sorpresa, Alessandro Di Santo, ascoltato come sindaco di Castelvenere dal 2011 al 2016 nel processo nato dall'indagine della Digos sulla gestione di alcuni centri per migranti nel Sannio.

Attenzione puntata, in particolare, sul consorzio Maleventum, di cui Paolo Di Donato è ritenuto il deus ex machina. Per lui ed altre trentacinque persone le accuse, a vario titolo, di associazione per delinquere, falso, truffa, concussione, rivelazione di segreti di ufficio.

Sollecitato dal pm Patrizia Filomena Rosa, Di Santo ha riferito di aver conosciuto Di Donato in occasione della sua presenza nel centro di accoglienza che Maleventum gestiva a Castelvenere, e di non averlo mai chiamato. Ha precisato che la struttura presentava una serie di criticità, a cominciare da quella dello sversamento dei liquami, eccessivi per l'impianto di depurazione, perchè sovraffollata, e di aver segnalato ripetutamente i problemi con una serie di mail inviate alla Prefettura, all'Arpac, all'Asl e al ministero dell'Interno.

“Ho chiesto- ha continuato - la convocazione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, alla cui riunione ho partecipato, ho incontrato più volte il prefetto Galeone, mai Felice Panzone (fino al gennaio 2017 funzionario aggregato alla Prefettura di Benevento, anch'egli imputato ndr) . Galeone mi diceva che c'era l'emergenza e che bisognava aver pazienza, la verità è che mi hanno sempre ignorato”.

Di Santo ha ricordato che “il prefetto mi aveva rimproverato perchè ero andato al Ministero”, e che Di Donato gli aveva telefonato "domandandogli perchè si fosse recato in Prefettura. Il suo tono era concitato, aggressivo come quello di tutti gli imprenditori, ma non mi ha minacciato”.

Poi il riferimento al verbale, del quale il Tribunale ha diposto il deposito nella prossima udienza del 12 gennaio, seguito dalle domande dell'avvocato Pietro Farina, che con il collega Vittorio Fucci difende Di Donato. “Lei sapeva se la struttura era agibile, di quanti appartamenti era composta e per quante persone era autorizzata?”. Interrogativi ai quali Di Santo ha ammesso di non saper “dare una risposta”.