Benevento

E' uno dei maestri delle neoavanguardie e i suoi lavori, dopo Benevento, probabilmente saranno esposti nella capitale dell'arte italiana, Milano.
Parliamo di Enzo Esposito. Da oggi al Museo Arcos di Benevento sono in mostra le sue tele. Un grande ritorno, un omaggio del maestro alla sua città natale.
«Una delle ultime volte che ha esposto a Benevento risale a vent'anni fa e, anche in quell'occasione, toccò a me curare l'esposizione». Parte da qui il direttore artistico di Arcos, Ferdinando Creta.
«E' un ritorno importante – prosegue – anche perché parliamo di un momento di maturità in cui Enzo ha raggiunto la massima espressione nel colore che diventa forza e messaggio”.«Quando rompe con l'arte performativa e comincia a lavorare sull'ambiente, stendendo la pittura direttamente sui luoghi che lo ospitano, Enzo si cimenta sulle grandi dimensioni. Lo ha fatto anche per questo spazio che studiava da tempo. Ed ha saputo interpretare questo spazio».

 

Tanta partecipazione per il taglio del nastro dell'esposizione che sarà a Benevento fino al prossimo 22 novembre. Con l'artista presenti Claudio Ricci, Presidente della Provincia di Benevento, Ente fondatore del Museo e con la Camera di Commercio patrocinante l’evento; la Dirigente del Settore Cultura della Provincia Pierina Martinelli, lo storico e critico d’arte Francesco Tedeschi, docente dell’Università Cattolica di Milano, oltre al direttore artistico del Museo.
Enzo Esposito si è detto compiaciuto per la presenza nella sua Benevento di una istituzione artistica così vitale ed importante che merita, a suo giudizio, la più ampia considerazione generale.


La mostra dedicata a Enzo Esposito oltre a celebrare uno dei grandi maestri nello scenario artistico nazionale ed internazionale di origini beneventane, riassume l’esperienza di uno tra i più interessanti interpreti della stagione delle neovanguardie, inaugurata nei primissimi anni Cinquanta dal dibattito tra realismo ed astrazione, quella stagione - come scrive Francesco Tedeschi nel saggio in catalogo mostra – di cui Enzo Esposito è tra i protagonisti, nello scorcio degli anni Settanta e negli anni Ottanta è la vicenda di un “ritorno alla pittura” ben rappresentato da chi, come lui, lungo una buona parte dell’ottavo decennio era attratto da altro genere di realizzazioni, tradotte nella oggettualità di teche e raccolte di una strumentazione tecnica di natura apparentemente aggressiva e nelle immagini fotografiche che documentavano azioni affini alla body art, nel mettere in gioco una fisicità del corpo e delle cose che sembravano alludere alla ferita, all’aggressione o, al contrario, ai processi diretti a una guarigione delle ferite dell’animo. Le circa trenta opere esposte a Benevento sintetizzano la traccia che sostiene da decenni il lavoro di Esposito, declinando la ricchezza di un linguaggio che trova la sua articolazione sulle motivazioni critiche che sostengono alcuni degli aspetti essenziali del suo linguaggio, e più precisamente i risultati di una storia in divenire.

 

Dalle carte di medie dimensioni, dipinte con un colore acceso, ma controllato, su fondi “chiaroscurali”,. dove la componente strutturale è forte e la composizione sembra trovare analogie fra l’anatomia e l’architettura, ad alcuni dipinti di grande estensione, con base intorno ai tre metri, che pure non sono così estreme per un artista che ha spesso varcato anche dimensioni maggiori, mostrando sempre un’attitudine a riempire la parete, a procedere verso un’estensione non immediatamente dominabile, fino alle opere di formato “eccentrico”, come la grande tavola ellittica, il ricorso al tondo, l’aspirazione a una pittura che svolge nuove ipotesi di volume plurimo, a fornire ulteriori motivi di attenzione, progetto, architettura, spazio e pittura vengono a identificarsi, in un oggetto unico, articolato, che esprime direttamente la potenzialità di una forma-colore compiuta, materiale più che materica. La pittura si fa cosa, presenza, occupa fisicamente il luogo e si manifesta come attuazione di un processo che sembra così risolvere la tensione di Esposito ad andare oltre la superficie, a generare una costruzione che diventa scena, quasi si trattasse di una finzione teatrale.

 

Mariateresa De Lucia