“Il problema non sono i cantanti, ma il sistema discografico che insegue il profitto a tutti i costi”. A dirlo è Daniela Di Maggio, madre di Giovanbattista Cutolo, in arte Giogiò, giovane musicista ucciso a Napoli nel 2023. Le sue parole arrivano in risposta alla lettera pubblica di Gino Cecchettin, padre di Giulia, che ha chiesto agli artisti un maggiore senso di responsabilità nei testi musicali.
Sessismo e violenza nei testi? “Una società tossica li chiede e le major li vendono”
Secondo Di Maggio, i testi musicali oggi più popolari sono solo il riflesso di una società “malata e dipendente da contenuti tossici”: violenza, relazioni tossiche, maschilismo e sessismo vengono promossi e normalizzati attraverso la musica, ma la colpa non è degli artisti.
“Oggi gli artisti sono condizionati dalle major discografiche. Sono loro a decidere cosa vendere, non chi canta.”
Il ruolo delle case discografiche: profitto sopra ogni valore
Daniela punta il dito contro l’industria musicale, responsabile – secondo lei – di aver creato un mercato che asseconda e alimenta dinamiche perverse, sacrificando arte, etica e autenticità in nome del guadagno. E fa un esempio concreto:
“A Sanremo, solo tre autori hanno scritto i brani di quasi tutti i partecipanti. Dove sono finiti i veri cantautori?”
Un modello alternativo: “Prendiamo esempio da Niccolò Fabi”
Nel panorama musicale attuale, Di Maggio elogia pochi artisti, tra cui Niccolò Fabi, citandolo come esempio di coerenza e integrità artistica: “Le sue canzoni sono meravigliose, perché nascono dall’amore per la musica, non dal desiderio di profitto”.
Una riflessione profonda: guarire la società per cambiare la musica
La denuncia di Daniela Di Maggio è anche un invito alla collettività. “Il problema non sono solo i testi sessisti o chi li canta. Il vero nodo è una società che desidera questi contenuti, li consuma, li premia. Siamo noi che dobbiamo guarire per primi”.