Il mito del Grande Torino

Il 4 maggio 1949 è una data scolpita nel cuore degli sportivi italiani: quel giorno, il trimotore Fiat G.212 della compagnia ALI, con a bordo la squadra del Torino, si schiantò contro il muraglione della basilica di Superga, a causa della nebbia fitta e di un errore di altimetria. A bordo c’erano tutti: l’allenatore Erbstein, il capitano Valentino Mazzola, i campioni Bacigalupo, Loik, Gabetto, Rigamonti. Nessuno si salvò.

Un’intera squadra annientata

Il Torino tornava da una partita amichevole a Lisbona contro il Benfica, organizzata per onorare il capitano portoghese Francisco Ferreira. La squadra italiana, reduce da quattro scudetti consecutivi e dominatrice assoluta del calcio nazionale, stava costruendo un’epopea leggendaria. La tragedia fu immediata e totale: 18 giocatori, 3 dirigenti, 2 allenatori, 3 giornalisti, 4 membri dell’equipaggio. Nessun superstite.

Un lutto nazionale

Il funerale fu una delle manifestazioni di dolore collettivo più grandi del dopoguerra. Oltre mezzo milione di persone si riversarono per le strade di Torino. Il Grande Torino era molto più di una squadra: rappresentava l’Italia che si rialzava, che sognava e che voleva vincere. Da allora, ogni anno, il 4 maggio, la città si ferma, e il calcio intero rende omaggio a una squadra diventata leggenda.