Benevento

Ovunque tu sia, ci sarai senz'altro rimasto male. Chissà se hai ricevuto gli sfottò dei tifosi delle altre squadre, quelle che sanno cosa significa perdere una finale, non le altre che al massimo ne hanno letto sui giornali. E' la legge dello sport e della vita: si vince, si cade e ci si rialza. I colori per i quali tifiamo – i più belli di tutti- ci hanno regalato gioie incredibili e delusioni amarissime.

Ovunque tu sia, avrai visto le nostre facce incredule per lo smacco subito. Tifare Inter significa questo e tanto altro. Significa sentirsi parte di una storia leggendaria che tu mi hai insegnato ad amare. Il ricordo va ai giocatori fantastici di cui mi parlavi: Suarez, Mazzola, Picchi, Sarti e via dicendo; a quelli che nel 2010 ci hanno fatto godere: Milito, Etò, Zanetti, Cambiasso; e agli attuali, che per anni ci hanno resi orgogliosi: Lautaro, Bastoni, Barella e compagnia cantante.

Lo hai sempre detto a me, lo ripeto a tutti: noi abbiamo una passione infinita per una società che ha nel Dna l'internazionalismo. Mica la logica del rione e della cosiddetta identità territoriale di cui si riempiono la bocca quanti agitano la clava del vittimismo folcloristico. Congiure e complotti li abbiamo attraversati nel tempo, la nostra diversità l'abbiamo pagata con il cambio forzato del nome: Internazionale dava troppo fastidio, meglio Ambrosiana, meglio un mondo con le barriere, con il rifiuto dell'altro, con gli steccati della mediocrità alzati per difendere il proprio orticello e non volgere lo sguardo al mondo. Un mondo che sa cosa rappresenta l'Inter.

Quella di ieri sera è stata la settima finale di Coppa dei campioni: tre le abbiamo vinte, quattro le abbiamo perse. Ci riproveremo, nessun dubbio: guai se non fosse così. Nel frattempo, non prendertela più di tanto, papà. Ho raccolto il testimone, sventolo la nostra bandiera: mi auguro che tu possa vederla e sorridere.