Salerno

Una trasferta con la squadra di calcio tanto attesa che si trasforma in una delusione e in momenti di disagio e solitudine. A denunciarlo una mamma salernitana che chiede più attenzione per i giovani che si approcciano allo sport. Queste occasioni dovrebbero essere un momento di crescita, non una gara a chi è più performante, lasciando indietro gli altri.

La lettera

"Mio figlio ha 12 anni e ama il calcio. Non solo lo gioca, lo vive. Ci crede. È felice quando va agli allenamenti, quando indossa la maglia, quando sogna di scendere in campo con i suoi compagni. Per questo, quando ci è stato proposto un torneo di 4 giorni in Puglia, non abbiamo avuto dubbi: sarebbe stata un’occasione di sport, squadra, emozioni e ricordi.


Abbiamo fatto uno sforzo – come tante famiglie – economico, organizzativo, personale. Ma soprattutto gli abbiamo trasmesso l’idea che avrebbe fatto parte di qualcosa, che lo sport è inclusione, rispetto, crescita. La realtà? In 4 partite, ha giocato 15 minuti. Solo 15. Non è tornato sul pullman con la squadra. Non ha partecipato alla premiazione. Non per scelta, ma perché si è sentito escluso, invisibile. E ora, come gli spiego che il suo impegno non è servito a nulla? Che il messaggio che ha ricevuto è: "non sei abbastanza"? A 12 anni, questo non è solo uno schiaffo al sogno, è un colpo al cuore.


Lo sport non può essere solo performance. Deve essere scuola di vita, di squadra, di appartenenza. Ma troppo spesso, anche nello sport giovanile, vediamo un sistema che esclude invece di accogliere, che punta a vincere invece di formare.
Allora mi chiedo, e chiedo anche a voi: a che serve tutto questo? A cosa serve parlare di valori se poi lasciamo indietro chi avrebbe solo voluto sentirsi parte? Non scrivo per creare polemica. Scrivo perché tanti genitori vivono situazioni simili e spesso tacciono. Io scelgo di parlare. Per mio figlio. Per tutti i bambini che meritano un calcio migliore".