Il coordinamento nazionale docenti della disciplina dei diritti umani esprime forte preoccupazione per gli episodi di violenza che continuano a verificarsi a Pomigliano d’Arco in provincia di Napoli, protagonisti ragazzi giovanissimi, alcuni addirittura già noti alle forze dell’ordine.
La notizia dell’ennesima aggressione, condotta da un gruppo di minori - tra cui un tredicenne già affidato ai servizi sociali per precedenti atti di violenza - sollecita una riflessione profonda che vada oltre il comprensibile allarme sociale.
Le "baby gang" sono il sintomo di un disagio profondo e strutturale, non la malattia in sé. Ragazzi che dovrebbero vivere l’adolescenza tra sport, scuola e relazioni sane, si trasformano in predatori urbani, incapaci di riconoscere i limiti, i ruoli, l’empatia. Ci si chiede: dove si è spezzato il patto educativo? A cosa stiamo rinunciando come comunità per assistere, quasi con rassegnazione, all’escalation della violenza minorile?
Ad affermarlo, Romano Pesavento presidente Cnddu.
"È evidente che serva una risposta forte, ma non solo repressiva. Gli interventi delle forze dell’ordine, pur necessari, devono essere accompagnati da un piano integrato di prevenzione che coinvolga la scuola, i servizi sociali, le famiglie, ma anche i centri culturali, sportivi, e le realtà associative del territorio. Non si può rispondere all’urlo del disagio giovanile solo con il linguaggio della punizione.
La scuola, in particolare, deve essere rafforzata come presidio educativo e comunitario. L’educazione ai Diritti Umani, al rispetto dell’altro, alla cittadinanza attiva, deve trovare spazio concreto e quotidiano nei percorsi formativi. I docenti devono essere messi nelle condizioni di agire non solo come trasmettitori di contenuti, ma come agenti di cambiamento sociale, capaci di intercettare i segnali del malessere prima che esplodano in forme distruttive.
Chiediamo alle istituzioni di promuovere un Osservatorio permanente sul disagio giovanile, che monitori i fenomeni di violenza minorile e favorisca azioni coordinate e tempestive. Serve un piano nazionale di educazione alla convivenza civile che riporti al centro l’idea di una comunità educante. Solo così potremo affrontare seriamente il disagio che attraversa i nostri ragazzi e le nostre periferie esistenziali.
La sicurezza non può essere disgiunta dalla dignità. Punire senza comprendere rischia di essere solo una pausa nel ciclo della violenza".